sabato 23 novembre 2024

Il regno di ‘Lassù’

 

 Solennità di Cristo Re dell’universo/B – 24 novembre 2024

 

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (18,33-37)

 In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
 

Commento

 Abbiamo appena ascoltato l’unico passo di tutti i quattro vangeli in cui Gesù dice espressamente di essere “re”. Alla domanda di Pilato: “Dunque tu sei re?” Gesù risponde: “Tu lo dici, Io sono re”. Tuttavia, Gesù aveva premesso che il suo regno non è di questo mondo, non è di quaggiù; anzi nel capitolo 8 dello stesso vangelo di Giovanni Gesù dice ai farisei: “Voi siete di quaggiù, io sono di lassù” (Gv 8,23). Capiamo che la regalità di Gesù non è quindi affermazione di potere secondo la logica del mondo, nel senso di esercizio di dominio e di forza sugli altri, ma – al contrario – affermazione della potenza che gli viene da ‘lassù’ dal Padre. E questa potenza, questo potere consiste nella capacità di offrire la vita e di riprenderla di nuovo, secondo il comando ricevuto dal Padre suo, e nostro (cf. Gv 10,18).
La sua è la regalità del dono, o ancora meglio del ‘perdono’, perché nella sua persona si afferma e si manifesta fino alla fine, fino ad un istante prima di morire, la volontà di misericordia di Dio per tutti gli uomini, per ciascuno di noi. Riportiamo alla memoria la promessa rivolta al malfattore in croce: “oggi con me sarai nel paradiso” (Lc 23,43). L’amore regna dall’inizio alla fine nell’esperienza umana del figlio di Dio perché Dio stesso è amore, dice la prima lettera di San Giovanni (cf. 1 Gv 4,16). Questa è la verità di cui Gesù è venuto a dare definitiva testimonianza. Dio è amore. Una verità che non poteva essere annunciata se non amando i suoi discepoli – e in essi tutti gli uomini - fino al termine biologico del suo cammino terreno (cf. Gv 13,1ss), non semplicemente a parole
Ne deriva una seconda buona notizia che ci riguarda da vicino: con Gesù e in Gesù possiamo regnare anche noi, sempre però collocandoci nella prospettiva del ‘lassù’, non del ‘quaggiù’. Noi regneremo in eterno con Gesù a condizione di entrare nella sua Pasqua, o detto altrimenti, di vivere – per grazia sua e per la forza del suo amore – quegli stessi suoi atteggiamenti di compassione, di attenzione ai fratelli, specialmente i più deboli, a costo anche della nostra stessa vita.

mercoledì 13 novembre 2024

Tutto passa, Dio resta

 

 Commento al Vangelo della XXXIII domenica del Tempo Ordinario/B – 17 novembre 2024


+ Dal Vangelo secondo Marco (13,24-32)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In quei giorni, dopo quella tribolazione,
il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo
e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».


Commento

 Quante volte abbiamo esclamato: “Ma è la fine del mondo!”, per sottolineare la grandiosità o la straordinarietà di un fatto. O cose simili. Delle espressioni, diremmo noi, iperboliche per comunicare la forte impressione ricevuta da un qualcosa per la quale non ci basta il vocabolario a disposizione. Il modo di parlare da Gesù, che riprende una espressione del profeta Daniele, appartiene a un gergo detto ‘apocalittico’ in uso in Palestina negli ultimi secoli precedenti la venuta di Cristo. Un gergo, o genere letterario, con cui si descriveva e si dichiarava l’attesa di un Messia-salvatore che avrebbe radicalmente ribaltato le sorti della storia, non molto favorevoli a Israele in quei tempi.
Gesù è consapevole di essere colui che metterà punto nelle alterne vicende del popolo ebreo e di tutta l’umanità. Tutto passa ma ciò che non passerà mai sarà proprio la sua parola, rispetto alla quale ogni altro avvenimento resterà sempre penultimo. La sua parola resterà in eterno e in particolare il suo giudizio fondato sulla carità: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare…Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,35. 40).
Quindi la storia ha una direzione, ha una fine: dal primo versetto della Genesi. “In principio Dio creò il cielo e la terra” al momento in cui “il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria”. Ma proprio perché il compimento della storia è Gesù, nella sua piena e definitiva manifestazione divina, la storia non ha solo una fine ma anche un fine. Tutti gli sconvolgimenti, tutte le disavventure umane, tutte le violenze umane non impediranno la piena manifestazione del progetto di Dio, di radunare tutti “i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo” (Mc 13 27), lo abbiamo appena sentito.

Da ciò deriva la profonda differenza tra la speranza cristiana e un generico ottimismo. Questo, l’ottimismo, spesso viene inteso in modo ingenuo, come se le cose che non vanno – guerre, carestie, ingiustizie – dovessero risolversi da sole, in modo più o meno automatico. No. Per un cristiano le cose si ristabiliranno sì, ma ad opera di Gesù: è lui il termine della nostra speranza e con lui saranno pienamente ‘ristabiliti’, rigenerati alla vita eterna, tutti coloro che non hanno svenduto la propria elezione, la propria figliolanza divina, che non hanno sciupato il seme della Parola di Dio.

E allora un terzo e ultimo passo. Questo vangelo, se lo leggiamo bene, ci spinge a rivolgere lo sguardo non al futuro, ma al presente. Nessuno conosce ‘quel giorno’ in cui giungeranno ‘i nuovi cieli e una nuova terra’; tanto vale allora investire sull’unico tempo a disposizione: oggi. Oggi è l’unico luogo per accogliere la sua parola di vita eterna. Dice la lettera agli ebrei: “Dio fissa un nuovo giorno, oggi, dicendo mediante Davide, dopo tanto tempo: “Oggi, se udite la sua voce, non indurite i vostri cuori!” (Eb 4,7). Potrebbe sembrare una contraddizione in termini ma per non perdere l’eternità occorre non perdere il treno del presente, …aprire il cuore e accogliere la parola di misericordia del Signore.

domenica 10 novembre 2024

Se la nostra moneta va fuori corso

 

 Commento al Vangelo della XXXII domenica del TO/B – 10 novembre 2024

 

+ Dal Vangelo secondo Marco (12,38-44)

In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».


Commento

 Qualche anno fa in un convento un confratello ha ritrovato qualche banconota da 50 mila lire, messe da parte in mezzo alle pagine di un libro. Ovviamente non ha potuto convertirle in euro, nemmeno presso la sede locale della Banca d’Italia e quindi…semplicemente carta straccia. Ho l’impressione che coloro che pensano di ‘comprare’ il regno di Dio col valore della loro moneta, o delle loro tante monete rischiano la stessa amara delusione.
Gesù ci offre in questo brano uno sguardo diverso per misurare il valore dei gesti che facciamo. Il mondo, la logica corrente e - mi sembra di poter dire – prevalente, sottolinea il valore numerario, quantitativo delle cose che facciamo: si cerca di quantificare il valore di un’ora di lavoro, il valore di una prestazione professionale, e addirittura si arriva a quantificare il valore dell’uso del denaro per una minima frazione di tempo. Ciò che interessa è il potere d’acquisto, cioè, capire quante cose posso acquisire con una data risorsa.
Gesù invece “chiamati a sé i suoi discepoli” conduce ad un altro tipo di valutazione: non tanto il potere d’acquisto ma il valore del dono. Le molte monete dei tanti ricchi indubbiamente avranno contribuito notevolmente di più alle spese del tempio, rispetto alle due monetine della povera vedova, ma quelle due monetine hanno un valore più grande agli occhi di Dio perché esprimono un dono enormemente più grande. Li c’era tutto il necessario per vivere, tutta la vita di quella donna. Il punto non è se abbia fatto bene o abbia fatto male a privarsi anche del necessario; il punto è la misura di valutazione che il Signore ci vuole insegnare che è quella del cuore e non quella dei numeri. La nostra preoccupazione non deve essere quella della ricerca del plauso della gente – ricorderete l’ammonizione di Gesù “quando fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente” (Mt 6,2) – e non deve essere nemmeno quella dell’autogiustificazione silenziosa che potremmo darci da soli per il fatto che compiamo un gesto in sé buono o dovuto, ma che potrebbe non costarci nulla, e non coinvolgere minimamente il nostro cuore. Dice il Signore a Samuele che andava cercando chi ungere come re d’Israele: “L’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore” (1Sam 16,7). La moneta che avrà corso legale nel regno dei cieli è quella della carità, della compromissione della vita per amore, non quella delle prestazioni adempiute. Al Signore non interessa la bellezza del tempio di mattoni, interessa piuttosto che la nostra vita sia un tempio, un tempio che custodisce e trasmette il suo amore e la sua infinita gioia.