Commento al vangelo della XII domenica del TO, anno B – 23 giugno 2024
Dal Vangelo di Marco (4,26-31)
In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».
Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».
Commento
Mentre si alza la tempesta Gesù dorme a poppa della barca, adagiato su un cuscino. La scena è in sé contradditoria, anzi è l’atteggiamento di Gesù ad esserlo; perché secondo uno stile a lui consueto egli conduce i suoi compagni di navigazione a capire che il sonno più grave, e più urgente da risvegliare, è quello della loro fede, non tanto quello del suo corpo. “Non avete ancora fede?”. Una domanda rivolta a tutti noi, che navighiamo in brutte acque, o almeno così siamo convinti. Infatti, chi di noi avrebbe il coraggio di dire che sta attraversando un periodo della sua vita totalmente tranquillo? Anzi la nostra fede troppo spesso è messa in crisi anche da una tempesta in un secchio di acqua.
Eppure la barca è piena di acqua, tutto sembra perduto. Ecco che ritorna fuori il granello di senape di fede di domenica scorsa. A quei discepoli ne sarebbe bastata una quantità simile per non perdere la calma, e per assistere forse ad un intervento ancor più prodigioso della potenza di Dio. Gesù ha parlato della potenza esplosiva e esponenziale del Regno di Dio, e ora nella concretezza esercita la sua regalità sugli elementi della natura, ingiungendo loro di tacere e di calmarsi.
Dobbiamo continuare ad avere fede, sempre. L’ultima parola a decidere la storia sarà sempre la parola del Signore. Giova ricordare anche il rimprovero di San Francesco ai suoi frati nella Ammonizione V: “E tutte le creature, che sono sotto il cielo, ciascuna secondo la propria natura, servono, conoscono e obbediscono al loro Creatore meglio di te”. (FF 154).
Le creature, infatti, definite dal santo di Assisi, nostre sorelle, perché figlie del nostro stesso Padre, obbediscono alla sua voce, e ai suoi richiami, ma il Signore si è fatto uomo per mettersi alla ricerca della nostra libera adesione, perché - a partire da quella stessa domanda: “Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?” – possiamo godere della straordinaria eredità dei figli di Dio, dell’essere coeredi di Cristo se - aggiunge san Paolo - “…davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.”(Rm 8,17). Concludo dicendo: cerchiamo di non essere troppo frettolosi nel rimproverare al Signore che non sta facendo niente per noi, per i nostri drammi personali, e per calmare le nostre tempeste. Chiediamoci piuttosto se siamo disposti a prenderlo nella ‘barca della nostra vita’ e a continuare a confidare in lui, a tenere sveglia la nostra fiducia, anche quando abbiamo l’impressione – erronea - che lui non stia facendo niente per noi!