giovedì 18 aprile 2024

Con-vocati e con-corporati in Cristo buon pastore

 

Commento al vangelo della IV domenica di Pasqua, anno B – 21 aprile 2024


Dal vangelo di Giovanni (10,11-18)

 In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Commento

 Gesù è un buon pastore, o meglio il buon pastore, per almeno due motivi.

 1 Non solo non è mercenario, cioè un operaio salariato che si interessa solo di prendere la paga e fare le sue ore di lavoro, al di là della resa del gregge, ma addirittura sacrifica la sua vita per il bene del gregge. E se ci pensiamo questa è una cosa assurda. Normalmente un pastore deve vivere tosando le pecore, mungendo il loro latte, e nutrendosi e vendendo la loro carne. Gesù fa il contrario mette a disposizione la sua vita per il bene del gregge.

2  Ma ancora ben oltre questo Gesù ci parla di una riunificazione di tutte le pecore in un solo gregge e in un solo pastore, con una sorta di immedesimazione delle pecore nella persona stessa del pastore. Capiamo anche da qui che siamo su un piano totalmente altro da quello naturale. Tutti noi, o quasi, abbiamo mangiato carne di agnello nei giorni scorsi, così la carne delle pecore diventa la carne nostra. 

Ma Gesù fa esattamente il contrario, perché ci riunisce in unità, ci fa diventare in lui una cosa sola facendosi lui cibo da mangiare per noi; è un pastore così buono che è piuttosto lui che si farà dono e carne da mangiare e saremo noi sue pecore a nutrirci di lui e diventare, tramite il misterioso segno dell’Eucaristia, un solo corpo in lui, proprio come lui stesso afferma nello stesso vangelo di Giovanni “…chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui” (Gv 5,56).

Come non ricordare a questo punto le parole di San Francesco che nella Lettera a tutto l’Ordine così scrive: “O umiltà sublime, o sublimità umile […] Guardate fratelli, l’umiltà di Dio, e aprite davanti a lui i vostri cuori, umiliatevi anche voi, perché siate da lui esaltati” (FF221)