Commento al vangelo della XXXIII domenica del TO, anno A – 19 novembre 20
Dal Vangelo secondo Matteo (25, 14-15.19-21, forma breve)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”».
Commento
Ecco i piccoli vasi di olio per le lampade, di cui Gesù parlava nella parabola di domenica scorsa: i suoi talenti, cioè i suoi doni d’amore, i tanti piccoli segni della sua presenza e della sua misericordia attraverso i quali siamo tenuti desti nell’attesa e provocati ad una risposta che, vista la fecondità dei doni, non potrà che essere moltiplicativa.
Ci sono certi, però, che si sentono sempre a credito con il Signore, o che non vogliono compromettersi con lui più di tanto, o addirittura proprio per niente; di fatto questi mettono il talento ricevuto sottoterra e se ne riparla al massimo al ritorno del padrone. Invece chi cerca di farli fruttare, custodirà sempre una memoria viva di colui che glieli ha consegnati. Perché custodire un dono significa anche mantenere viva la memoria del donatore.
È vero: il Signore raccoglie anche dove non ha sparso, e miete dove non ha seminato, ma non è vero che è un uomo duro, anzi egli è “Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà” (Es 34,6). Chi è disposto a trafficare con questa ricchezza renderà ricco di bellezza il proprio esistere e quello di tanti altri fratelli. Chi resterà convinto che Dio sia un uomo duro e che quasi ci abbia fatto un dispetto a metterci al mondo, avrà invece sotterrato ogni germoglio di felicità. Non dobbiamo inventarci chissà quale impresa, ci basti solo accorgerci – piuttosto - che siamo stati amati, creati per amore, e destinati a una gioia senza fine.