domenica 28 agosto 2022

Commento al Vangelo della XXIII domenica del TO, anno C - 4 settembre 2022

 

In Cristo tutto è possibile 

 

Dal Vangelo secondo Luca (14,25-33)

 In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».



Commento

Per seguire Gesù bisogna fare la cura dimagrante! La porta d’accesso al Regno è stretta, si diceva nel Vangelo di due domeniche fa. Qui, oggi, Gesù ce lo fa capire ancora meglio perché la scelta di essere discepolo implica una disponibilità dell’intera esistenza, non solo la comprensione intellettuale di alcuni concetti. Occorre seguire le tracce del maestro, porre la relazione con lui al primo posto: non tanto per tagliare i ponti con il resto dell’umanità, ma anzi il contrario, vivendo ogni relazione umana nella luce e nella comunione con lui, unica via d’accesso alla misericordia di Dio Padre; e arrivando a rinnegare anche la propria vita, se intesa in modo individualistico, per ricomprenderla in modo fraterno, nella comune figliolanza divina di tutti gli uomini. 

L’esempio che offre Gesù su un uomo che vuole costruire una torre e di un re che pensa di andare in battaglia con la metà dei soldati del nemico specifica ulteriormente la sua affermazione.
Ogni decisione di riprodurre la sua scelta esistenziale di “dono di sé”, esige i suoi stessi atteggiamenti interiori: mettere l’amore del Padre al primo posto, anche rispetto ai rapporti familiari biologici. Non disse forse, Gesù, ai suoi genitori: “Perché mi cercavate, non sapevate che mi devo occupare delle cose del padre mio!”
Solo l’amore sovrumano, divino, che l’uomo può ricevere dalla Grazia di Cristo, e per opera dello Spirito Santo, è in grado di farci apprendere la lezione di vita del Maestro Gesù. Solo nella stretta comunione con Lui, a noi possibile attualmente nei sacramenti della Chiesa, e unendoci a lui in ogni situazione - anche e soprattutto quelle di dolore - è possibile affrontare in battaglia qualsiasi tipo di male, anche se dovesse apparire superiore del doppio rispetto alle nostre forze. Anche San Paolo ebbe a dire: “Tutto posso in colui che mi dà la forza” (Fil 4,13).

Per Francesco d’Assisi fu chiaro, ad esempio, che relazioni familiari e ricchezze erano un ostacolo nel seguire Gesù, ma rinunciando a tutto ciò, poté finalmente dire: “D’ora in poi potrò dire ‘Padre nostro che sei nei cieli’ e non più padre Pietro di Bernardone.
Adoperiamoci dunque a fare la cura dimagrante del cuore: creiamo spazi di interiorità e di ascolto della Parola di Dio, coltiviamo la sobrietà nell’uso dei beni della terra per condividerli con chi ne ha di meno, non coltiviamo aspettative eccessive verso gli altri (perché sono fragili come noi). Altrimenti la nostra fede non reggerà l’urto delle prove quotidiane e la nostra vita rischierà di restare un’opera incompiuta.

martedì 23 agosto 2022

Commento al Vangelo della XXII domenica del Tempo Ordinario, anno C - 28 agosto 2022

 


Alla festa della vita


Dal Vangelo di Luca (14,1.7-14) 

Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.

Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».


COMMENTO

L’occasione da cui parte Gesù è l’invito a pranzo da parte di un fariseo. Vedendo come gli invitati scelgono i posti più importanti a mensa, Gesù offre delle indicazioni di comportamento che vanno oltre semplici questioni di opportunità. Può essere buona norma scegliere il posto meno ragguardevole per evitare l’umiliazione di essere retrocesso. Ma non è detto che questo, di fatto, avvenga sempre. Nella vita concreta, potremmo scegliere tutte le volte l’ultimo posto senza mai essere invitati a “salire”.

Occorre guardare lo sfondo su cui si colloca Gesù, quello della risurrezione dei giusti, causata a sua volta dalla sua stessa incarnazione e dalla sua stessa Pasqua. Il vero sposo della nostra umanità è Gesù, Figlio di Dio; egli non solo si è fatto uomo, ma – come ci ricorda San Paolo nell’inno della lettera ai Filippesi (cf. 2,6-11) – “umiliò se stesso abbassandosi fino alla morte, e alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato...”.

Ecco il fondamento del valore degli ultimi posti, dell’umiltà, e dell’invitare gli scartati del mondo che non potranno mai restituirci l’invito. Non cercare la gloria umana, non cercare di primeggiare ma piuttosto di mettersi a servizio dell’uomo è stato esattamente l’itinerario prescelto dal Figlio di Dio. Un itinerario di amore incompreso e quindi faticoso, ma allo stesso tempo glorioso, e di una felicità senza fine.
Il vero banchetto di nozze è proprio quello della vita. Questo ci può suonare come un ingenuo spiritualismo, ma tutta la vita potrebbe essere una festa se solo fosse la condivisione, nell’amicizia di Cristo Signore, della gioia di sentirsi amati, di sentirsi figli, di sentirsi già eletti a partecipare all’amore eterno che è Dio.

Ma se così è , non ci sarà più bisogno di accaparrarsi amicizie, favori, e riconoscenza da parte degli altri, perché ogni gesto più semplice, come quello di invitare a cena qualcuno, o di condividere più in generale i propri beni, diventerà piuttosto la restituzione e ringraziamento di tutto e per tutto ciò che il Signore ci ha già donato.



domenica 14 agosto 2022

Commento al Vangelo della XXI domenica del Tempo Ordinario, anno C - 21 agosto 2022

 

Fortuna che la porta è stretta!



Dal Vangelo di Luca (13,22-30)
 
In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme.
 
Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».
 
Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”.
 
Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.
 
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».


Commento

Si, possiamo dirlo: per nostra fortuna la porta della salvezza è stretta, stretta come l’ampiezza delle braccia allargate di Gesù in croce. La bellezza, la buona notizia del Vangelo di oggi in fondo è tutta qui: le braccia allargate di Gesù in croce non sono solo il segno della resa di fronte all’odio degli uomini, ma soprattutto costituiscono l’abbraccio accogliente dell’amore di Dio Padre che salva, e rivelatosi nel suo figlio unigenito. Se la salvezza finale avesse anche altri criteri d’accesso oltre a quelli della misericordia divina, non ci sarebbe spazio per nessuno. 

Ce lo ricorda anche San Paolo: “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati” (1Tim2,4) ma non tutti, anzi pochissimi accettano che la salvezza di Dio passi attraverso quell’uomo, fatto di carne e ossa come noi, per di più umiliato, e quindi perdente. Pochi accettano di vivere una vera comunione con Lui, in Lui, e tramite Lui con Dio Padre, sotto l’azione dello Spirito Santo.

Molti, rimasti fuori, avranno la presunzione che poteva bastare una vaga prossimità: magari averlo accolto nelle proprie piazze, o aver condiviso con lui la mensa. Ma egli dirà loro: “Non so di dove siete!”. Entrare nell’abbraccio misericordioso di Cristo significherà non solo essersi nutriti con lui alla stessa mensa, ma nutrirsi di lui, e del suo stesso corpo; significherà non solo averlo accolto nelle piazze a predicare, ma aver fatto di quella parola il senso della propria vita e delle proprie scelte. Quindi una comunione vera, intima e personale.

O vinceremo questa sfida agonistica contro il nostro “Io” o sarà l’agonia. Il punto di svolta è tutto dentro il nostro cuore: niente e nessuno può staccarci dall’amore di Dio Padre che ci salva, salvo la nostra scelta di non aprirgli la porta del cuore.




sabato 13 agosto 2022

Commento al Vangelo della XX domenica del Tempo Ordinario, anno C - 14 agosto 2022 -

 
La verità si rivela nel fuoco dell'amore 

 
Dal Vangelo secondo Luca (12,49-53)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».
 

Commento

C’è un’altra parola di Gesù, riportata dal Vangelo di Giovanni (Gv 14,27a) che aiuta a risolvere l’apparente contraddittorietà di questa sua affermazione appena ascoltata: “Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione.”
Come potrebbe il Dio della pace venire a portare la divisione? Ma al capitolo 14 del Vangelo di Giovanni, appunto, Gesù dice: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi”. La parola “pace” secondo Gesù ha quindi un significato diverso da quello che le dà la mentalità corrente.

Secondo la logica del mondo, infatti, i princìpi non sono assoluti, e anzi si possono barattare: o per comodità, o per convenienza economica, o in generale per quieto vivere. Nella logica di Gesù la verità è l’amore del Padre rivelato nel mondo e questo amore non può essere barattato o svenduto per nessun’altra cosa. Ecco nascere da qui, allora, la divisione, possibile anche dentro i legami più sacri - e che di fatto avvenne con le autorità religiose del tempo – con chi pone la legge al di sopra di tutto, anche al di sopra della misericordia di Dio. Gesù non ha mai affermato il suo insegnamento con la forza. Anzi, proprio dalla sua mitezza sorge l’angoscia di cui parla nei versetti iniziali, il timore e il tremore di dover vivere l’immersione, il battesimo nel fuoco d’amore della sua passione e morte.

Il fuoco dell’amore di Dio Padre portato da Gesù sulla terra è mitezza, pace, giustizia: una carità che “tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1 Cor 13,7); non è come il fuoco che i fratelli apostoli Giacomo e Giovanni avrebbero voluto far scendere su quei samaritani che non vollero ricevere Gesù (cf Lc 9,51-56).
Ricordiamo bene: il discepolo di Cristo è messaggero di pace e assume in sé lo spirito delle sue beatitudini, l’ultima delle quali tuttavia proclama: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.” (Mt 5,11-12).


domenica 7 agosto 2022

Commento al Vangelo della XIX domenica del TO , anno C - 7 agosto 2022

 
    

Partecipi della festa di nozze
 

Dal Vangelo di Luca (12,32-48)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!
Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».
Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».



Commento    

L’attesa con la lampada accesa e, soprattutto, con le vesti strette ai fianchi è di chi, oltre ad attendere il ritorno di qualcuno, desidera mettersi al suo servizio fin dal primo istante dell’incontro. Ma la cosa sorprendente dell’immagine parabolica proposta da Gesù, è che appena questo padrone tornerà dalla festa di nozze, sarà lui stesso a cingersi la veste e a servire i suoi subalterni.
Proprio così: per molti cristiani le esigenze della fede, e dello stile di vita che ne segue, sono una sorta di dazio da pagare a colui che ci ha creato, ci ha perdonato e che, se saremo buoni, forse ci ammetterà in paradiso.
Se ci lasciassimo, invece, toccare più seriamente dalla stranezza della parabola potremmo intuire che l’attesa serve soprattutto a noi. Attendere lo sposo, Cristo Gesù, che è ha vissuto la sua festa nuziale amando tutti gli uomini nella sua passione morte e resurrezione, ci permette di ricevere i frutti della sua stessa vittoria, di condividerne la gioia eterna.
Dice San Paolo (cf Rm 8,14-17) che siamo davvero figli ed eredi di Dio, coeredi di Cristo, “se prendiamo parte alle sue sofferenze, per partecipare anche alla sua gloria”.
La vigilanza è già di per sé partecipazione alla sua croce, perché significa, come dice la continuazione del brano, non addormentarsi nel godimento dei beni, ma servirsene per occuparsi degli altri fratelli. La vigilanza non è scrutare un orizzonte geografico o temporale, ma: scrutare e contemplare la presenza del Signore nell’impensabile fratello venuto a scomodare i nostri programmi; oppure riconoscerlo ed accoglierlo giorno e notte nelle persone più vicine, che sarebbe poi il nostro “prossimo”.