sabato 28 dicembre 2019

Commento al vangelo della I Domenica di Natale – Santa Famiglia – 29 dicembre 2019



 

Solo l’Amore basta a se stesso
 





TESTO (Mt 2,13-15.19-23)

I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».
Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio».

Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino».
Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».
 


COMMENTO
 

Questo Vangelo viene proclamato nella Domenica immediatamente successiva al Natale, per celebrare la Santa Famiglia di Nazaret: Gesù, Maria e Giuseppe. La loro storia sia un incoraggiamento per tutte le famiglie, che come loro, camminano in mezzo a mille difficoltà e minacce di morte: fisica, spirituale o morale che siano. Ma permettetemi di spingermi oltre: al di là del fatto ovvio che nella Bibbia “famiglia” è un papà, una mamma e dei figli, questo Vangelo possa essere un incoraggiamento per tutti quegli uomini e quelle donne di buona volontà che vivono il desiderio di costruire comunità umane dove al centro ci sono gli stessi atteggiamenti di eroismo, di disponibilità al prossimo, di fiducia e affidamento reciproci. Penso ad esempio alle tante famiglie di fatto, o alle tante comunità religiose di cui anche chi vi scrive fa parte.
 

Dovrebbe questa giornata oltretutto, a mio parere, essere la festa di tutti i genitori adottivi, erroneamente e stoltamente giudicati, da alcuni, genitori “tra virgolette”. Fermiamo lo sguardo su Giuseppe. Il Signore lo sollecita continuamente a farsi carico di Maria e di Gesù ma non gli attribuisce in alcun modo la “titolarità” di quelle relazioni personali: “Prendi con te il bambino e sua madre”. Non c’è nemmeno un aggettivo possessivo che si riferisce a lui. Gesù non è suo figlio; Maria è la madre del bimbo. Giuseppe è il papà più grande di tutta la storia biblica: ama senza aver niente in ritorno. Giuseppe è una provocazione per tutti quelli che pensano che per amare occorra avere una qualche gratificazione. 

Giuseppe si è donato, ha compromesso totalmente la sua vita per Maria e Gesù, ha amato totalmente e gratuitamente, e poi scompare; tanto che dai vangeli non si capisce neppure quando e come sia morto. Cosa è restato a Giuseppe di tutto il suo eroismo? Gli è restata, credetemi, la cosa più importante e che tutti cerchiamo: l’Amore. Perché l’amore basta a se stesso!

sabato 21 dicembre 2019

Commento al Vangelo della IV Domenica di Avvento – 22 dicembre 2019 – anno A



 

“Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”
 


TESTO (Mt 1,18-24)
 
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
 

Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”.
 

Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
 



COMMENTO
 

Giuseppe disobbedisce alla legge ma obbedisce alla sua coscienza che, come ci dice il Vangelo, si era formata nella giustizia. Cosa potremmo dire di questo uomo di cui i Vangeli non riferiscono neanche una parola uscita direttamente dalle sue labbra? Giuseppe avrebbe dovuto secondo la legge ebraica, denunciare pubblicamente Maria perché l’evidenza dei fatti attestava la sua infedeltà. Ma Giuseppe in quel fatto evidente non guarda anzitutto la legge, guarda la persona della sua sposa, di quella promessa (sposa viene dal latino e significa “promessa”) che gli era stata affidata. Non un atto di estremo equilibrismo tra la legge e l’affetto per la persona amata, ma la ricerca del bene che passa attraverso il rigoroso rispetto del prossimo come per, direbbe Papa Francesco, …“togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cfr Es 3,5).” (EG 169).
 Esattamente come fece il suo figlio Gesù quando, pur trasgredendo il severo precetto del riposo del sabato, permise ai suoi discepoli di strappare spighe di grano per sfamarsi. (cf Mc 2,23-28).
 

 Forse per questo l’angelo del Signore riesce a trovare accesso ai sogni di Giuseppe, riesce a fare una breccia nelle ovvie preoccupazioni di un uomo giusto.
 

Quanto bene sapremo fare anche noi, se al di là delle più o mene radicate convinzioni di questa o quell’altra scelta religiosa, sapessimo mettere sempre al centro il bene delle persone che ci stanno accanto. Anche noi potremmo così ricevere frequenti suggerimenti dal Cielo e ricevere ispirazioni veramente divine.

venerdì 13 dicembre 2019

Commento al Vangelo della III Domenica di Avvento – 15 dicembre 2019 – anno A


  

"A BUON INTENDITOR POCHE PAROLE"

 
TESTO (Mt 11,2-11)

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?».
 

Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
 

Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.
 

In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».
 





COMMENTO
 

Possiamo cominciare a leggere questo passo dal fondo, dalle ultime parole di Gesù. Questi afferma che Giovanni Battista è il più grande tra i nati da donna, ma anche che  il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. Il più piccolo in assoluto, per il suo abbassamento dalla potenza divina all’umiltà della condizione umana, è lo stesso Gesù. Chi più di lui ha percorso un itinerario di abbassamento e di umiliazione? Chi più di lui in Israele sarà offeso, disonorato, flagellato e percosso?
 

In forza del suo abbassamento alle condizioni più disonorevoli delle sorti umani, Gesù è in grado di farsi vicino a tutti, di portare la vicinanza di Dio dove nessun uomo per quanto grande, magnanimo e penitente, sarebbe potuto arrivare, neppure Giovanni Battista. Nel suo essere Dio ma allo stesso tempo uomo, Gesù è capace di toccare, risanare, ricreare, in una parola: redimere, tutta quella parte di umanità afflitta, sfinita e sofferente. Al riguardo Gesù dirà anche: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò” (Mt 11,28).
 

I segni straordinari compiuti dal Signore: guarire i ciechi, resuscitare i morti, annunciare la buona notizia ai poveri, dovevano bastare al Battista per trovare conferma alla domanda recapitata a Gesù che in sostanza voleva dire: “Sei tu il nostro liberatore oppure no?”
 

Se vogliamo, quelle guarigioni hanno avuto una portata molto limitata, ma è significativo che quei segni erano ciò che gli ebrei aspettavano e avevano appreso dalle promesse degli antichi profeti. Dunque Dio, nella persona di Gesù, si è reso vicino agli uomini, in modo definitivo e risolutivo. D’ora in poi in Lui, cioè nel Cristo morto-risorto, ed eternamente stabilito nella gloria di Dio, nella sua Grazia, ogni uomo, compreso lo stesso Giovanni Battista, potrà rinascere dall’Alto, divenire grande, libero da ogni male, e alla fine di questi giorni, felice per sempre.

sabato 7 dicembre 2019

Solennità dell’Immacolata Concezione di Maria – 8 dicembre 2019 – II Avvento anno A


 

La Grazia extra-vagante di Dio
 




TESTO  (Lc 1,26-38)

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
 

Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei

COMMENTO
 

Le buone notizie non fanno notizia e sono le più soggette a non essere credute. Oggi si direbbe: “notizie fasulle”. Chi di noi, ad esempio, dà credito a quegli annunci pubblicitari in cui si dice: “gratis per lei” o “lei ha vinto”? Talmente siamo abituati al raggiro e all’inganno!
 

Cosa poteva significare per la giovanissima Maria che il Signore era con lei, e che era ricolma del favore, della gratuità, della benevolenza di Dio? Interessante notare che la liturgia ci propone il racconto dell’Annunciazione nel giorno in cui celebriamo solennemente il fatto che Maria è stata preservata da Dio dalle conseguenze del peccato originale, cioè il suo Immacolato Concepimento.
Questo dono stra-ordinario di Dio verso una giovane fanciulla è proprio il presupposto necessario per la stra-ordinaria entrata di Dio nella storia dell’uomo. Maria ha potuto credere, ha potuto affidarsi a quelle, dal punto di vista umano, incredibili parole dell’angelo, perché destinataria di una grazia speciale, di una vicinanza unica da parte di Dio.
 

Tanto grande era il compito affidato a Maria di partorire il salvatore del mondo-Gesù, altrettanto grande doveva essere la forza ricevuta dal Cielo, per affrontare e condividere la passione-morte del proprio figlio.
 

Chi, come Maria, accoglie la presenza del Signore nella propria vita, accende speranza nuova nei cuori, dirada le tenebre della disperazione, porta aria nuova nel mondo. Come dirà l’evangelista Giovanni: “La luce è entrata nel mondo e le tenebre non l’hanno fermata” Gv 1,5.

giovedì 28 novembre 2019

Commento al Vangelo del 1 dicembre 2019, prima Domenica di Avvento - anno A -






Navigando in Cristo verso la salvezza

 Arca Di Noè, Mosaico, Iconografia, Chiesa Russa

TESTO (Mt 24,37-44)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
 

Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

 

COMMENTO
 

Nel tempo di Avvento, inaugurato da questa Domenica, siamo invitati a prepararci a celebrare con gioia la prima venuta del Signore sulla terra nella notte di Betlemme, ma anche a prepararci nella vigilanza operosa della vita, alla sua seconda e definitiva  venuta in un giorno, dice Gesù, che non immaginiamo.
Gesù ci offre l’immagine dell’arca di Noè tratta dall’Antico Testamento, un’immagine simbolica- mitologica, ma che dice la verità della nostra origine e del nostro destino. L’arca di Noè può essere letta anche come una prefigurazione del grembo di Maria dove germoglia una nuova alleanza, una nuova storia umana esente e lontana dal peccato: la vita dello stesso Gesù.
 

Come al tempo di Noè gli uomini si trovarono coinvolti nelle vicende di un mondo corrotto e solamente Noè fu custodito e salvato insieme alla sua famiglia nell’arca di legno, così Gesù di Nazareth, il cosiddetto Figlio dell’uomo, rappresenta l’unico uomo veramente giusto, custodito per 9 mesi nel grembo di Maria, e che ora è presente nel grembo, nel corpo della sua Chiesa.
 

La vigilanza consisterà essenzialmente nel non rompere mai questo legame di comunione battesimale che ci lega, molto spesso fin dall’infanzia, con la vita di Cristo-figlio di Dio e figlio dell’uomo, perché la salvezza non è questione di cose straordinarie da fare, ma anzitutto di un atteggiamento del cuore, di una capacità di vivere ogni momento in una relazione aperta con Dio e con gli uomini. La terra da lavorare sarà sempre la stessa, e così ugualmente la macina da girare, ma non sarà identico il desiderio nel cuore delle persone. Chi cerca con perseveranza l’amicizia di Gesù Salvatore e, in Lui, l'amicizia del prossimo, soprattutto il più fragile ed emarginato, sarà salvo: chi cerca altro, sprofonderà in ciò che vita non è.

giovedì 21 novembre 2019

Commento al Vangelo della Solennità di Cristo Re dell'Universo - 24 novembre 2019



La svolta "sovranista" di Gesù di Nazaret



 

TESTO (Lc 23,35-43)
 

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».
Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso»

 

COMMENTO
 

"Salva te stesso!” – ecco la provocazione ripetuta tre volte a Gesù dai capi del popolo, dai soldati e infine da uno dei due malfattori. Anzi, il malfattore aggiunge nella più profonda disperazione “…salva anche noi!”

È il rimprovero che una schiera innumerevole di persone sofferenti, cristiane e non, ha rivolto e rivolge ogni momento a Dio. Se Egli è il creatore onnipotente e misericordioso verso gli uomini, perché non risparmia tanta sofferenza a milioni e miliardi di suoi figli?
 

La domanda sul perché del male, fisico o morale che sia, ha attraversato le epoche e le culture, e ha anche interrogato il cuore degli stessi cristiani, fino a far dubitare dell’esistenza di Dio, o comunque di un Dio benevolo.
 

L’odierna festa di Cristo Re dell’Universo ci pone davanti, non a caso, proprio il Cristo crocifisso, per condurre la nostra attenzione alla radicale ed essenziale vittoria di Cristo sul male. 
 

Il regno di Dio non è di questo mondo (lo disse Gesù stesso a Pilato durante il processo), perché egli non regna esercitando una violenza più forte, o facendo valere un’autorità più tirannica, ma collocandosi in un’altra prospettiva, quella dell’amore eterno di Dio Padre.
 

Egli non mercanteggia né si associa ai poteri umani, ma ci ama in Dio, e accettando la morte, da risorto riporta nella gloria eterna di Dio Padre non solo la sua vittoria personale, ma anche la vittoria di tutti coloro che si volgono a Lui (come il malfattore pentito)
 

Qui ed ora Cristo regna veramente.
Cristo regna nel cuore di coloro che accolgono le sue parole di vita e il suo Santo Spirito, e si inseriscono così in modo vitale nel suo corpo storico che è la Chiesa.
 Egli già da ora regna sull’odio e sulla disperazione, donandoci in questo tempo una consolazione ineguagliabile.
Ma siamo certi che questo Regno diventerà per sempre e per tutti una vittoria definitiva quando egli tornerà, come diciamo nel Credo, a giudicare i vivi e i morti!

venerdì 15 novembre 2019

Commento al Vangelo della XXXIII Domenica del TO, anno C; 17 novembre 2019





Aveva ragione Gesù    


TESTO  (Lc 21,5-19)

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».





 COMMENTO

Qualche mese fà sono stato in pellegrinaggio in Terra Santa e ho dovuto constatare che Gesù riguardo alle belle pietre del tempio di Gerusalemme aveva proprio ben profetizzato: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Anzi, se questo non bastasse, il luogo dove sorgeva il tempio ora si chiama semplicemente “spianata”, perché tutto l’edificio fu letteralmente spianato e, tanto per aggiungere al danno la beffa, nei secoli successivi vi furono costruite sopra due moschee, per altro bellissime e caratteristiche dello skyline della città.

Tuttavia Gesù aggiunse che non sarebbe stata subito la fine, cioè il giorno del giudizio finale, e anche su questo aveva ragione perché dal 70 d.C – anno della distruzione del tempio di Gerusalemme ad opera dell’esercito romano – fino ad oggi, sono passati poco meno di 2 mila anni e ancora siamo qui, per Grazia sua.

Il Signore si è forse dimenticato di noi, e delle sue promesse di beatitudine per i miti, i misericordiosi e i poveri? Nella seconda lettera di San Pietro troviamo delle parole adatte a questa domanda: “Una cosa però non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un solo giorno è come mille anni e mille anni come un solo giorno. 9Il Signore non ritarda nel compiere la sua promessa, anche se alcuni parlano di lentezza. Egli invece è magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi.” (2 Pt 3,9)

Conclusione: stiamo vivendo nel tempo della divina pazienza, il tempo in cui i discepoli del Signore sono chiamati a compiere la missione di annunciare la sua salvezza fino ai confini del mondo; il tempo in cui le lacrime versate da tutti gli oppressi e i sofferenti della terra sono raccolte nel cuore trafitto di Gesù Signore che le trasformerà in gioia eterna. E benché ancora ai nostri giorni, a fianco della spianata del tempio di Gerusalemme, si erge il cosiddetto “muro del pianto”, in quel giorno, quando sarà la vera Fine, vedremo risplendere la nuova Gerusalemme, quella del Cielo, cioè il Paradiso, dove il Signore, ci dice l’Apocalisse, “asciugherà ogni lacrima …  e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate”. (Ap 21,4)

sabato 9 novembre 2019

Commento al Vangelo della XXXII Domenica del Tempo Ordinario, anno C; 10 novembre 2019




QUESTIONE DI VITA O DI MORTE  



TESTO ( Lc 20, 27.34-38 )

In quel tempo, disse Gesù ad alcuni sadducèi, i quali dicono che non c’è risurrezione:
«I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio.
Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».


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COMMENTO

Questi sette fratelli rappresentano bene il desiderio innato nella natura dell’uomo di varcare il baratro della morte. Per l’ebreo poi la discendenza biologica rappresentava la possibilità di sopravvivere alla morte attraverso e nella propria progenie; una sorta di integrazione alla speranza, sì, di una vita dopo la morte, ma con dei contorni non definiti, tanto che per alcuni, proprio i Sadducei che pongono il caso teorico a Gesù, non si poteva parlare di resurrezione dei corpi, cosa invece creduta da parte dei farisei.

In definitiva la discendenza carnale era ritenuta così tanto importante che i fratelli sopravvissuti dovevano completare, secondo la legge di Mosè, ciò che non era riuscito a fare il precedente. Di qui il problema: se i corpi risorgono, di chi sarà moglie chi lo è stata con sette fratelli diversi in sette momenti successivi.

Gesù articola la risposta su due linee:
 La prima sulla modalità della resurrezione dei morti. I morti non risorgeranno in una vita come quella precedente, ma in una vita immortale, soprannaturale, in cui la paternità di Dio trasformerà tutta l’esistenza degli uomini, anche nella loro dimensione fisica che, pur rimanendo tale, non avrà più bisogno della mediazione coniugale per godere dell’unione estatica con Dio-Amore.
La seconda sul fatto stesso della resurrezione dei morti su cui i Sadducei contraddicevano Gesù. Se il Dio creatore, che quindi è il Dio di ciò che esiste, della vita, si presenta a Mosè come il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, questi patriarchi e tutti gli altri con loro non possono essere definitivamente morti, ma essere anche essi nella vita di Dio.

 Il varco dell’immortalità e della resurrezione in realtà è proprio Gesù che sta parlando, e non tanto per le sue parole, quasi fossero istruzioni di viaggio, ma per la sua stessa vita donata per amore che, una volta divenuta immortale nel travaglio della morte e risurrezione, è divenuta per ciascuno di noi la porta di accesso alla vita eterna.