giovedì 29 settembre 2016

Commento al Vangelo della XXVII Domenica TO anno C; 2 ott 2016



SERVI NO PROFIT


TESTO ( Lc 17,5-11 )

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». 
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.

Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 

Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».


 COMMENTO

Un granello di senape: tanto piccola potrebbe essere la nostra fede per poter vedere addirittura sradicato un albero e trapiantato in mare. Gesù parla per assurdo, non perché la fede non possa realmente fare meraviglie ma perché lo sradicamento di un albero normalmente non serve al bene di un uomo, e se per assurdo servisse anche questo, Dio lo farebbe. Cosa serve realmente al bene dell’uomo, cosa giova alla sua felicità, alla sua pienezza? 
I versetti successivi ci annunciano la ricompensa più bella della nostra vita, quella di essere al servizio del Bene, del Regno di Dio, delle forze dell’amore di Dio che alla fine prevarranno sul male ma che richiedono la nostra collaborazione. In questa lotta l’uomo trova la sua più bella ricompensa nell’essere semplicemente a servizio di Dio.

A noi la parola servo suona decisamente male e fastidiosa; ci trasmette un senso di svuotamento, di perdita di dignità e di privazione della minima libertà, ma nella mente di Dio essere servi significa essere al vertice della piramide. Gesù dice in un altro passo: “Io non sono venuto per essere servito ma per servire e dare la vita in riscatto per molti”. Gesù adempie le profezie di Isaia che annunciò circa 5 secoli prima la nascita di un servo sofferente. Ecco la Gloria di Gesù: accettare di manifestare l’amore misericordioso di Dio Padre fino ad accettare umiliazione e incomprensione, per poi entrare nella vittoria finale della risurrezione.
Il nostro essere servi esige riconoscere anzitutto la bontà, la bellezza della vita secondo l’insegnamento e l’esempio di Cristo Gesù. Nell’atto di amare in Cristo, donando tutto il nostro essere a Dio e al prossimo, si trova il senso più profondo della propria esistenza e il sentiero verso una felicità inattaccabile. 

Ci può essere una ricompensa più grande di questa? Una ricompensa più grande del trovare il senso del proprio posto nel piano di Dio, chiamati a trasmettere la misericordia del Padre ai nostri fratelli? E qui ritorniamo al punto d’inizio: dobbiamo avere fede nell’immenso amore di un Padre che nutre e custodisce costantemente il suo popolo, che non ci volge mai le spalle anche quando noi le volgiamo a Lui; un granellino di questa fede ci permetterà di vedere i miracoli della sua longanimità e farà sentire la gioia dell’essere semplicemente a servizio di questa infinita storia d’amore!

giovedì 22 settembre 2016

Commento al Vangelo della XXVI Domenica del TO; 25 settembre 2016



Guai ai ciechi


TESTO ( Lc 16, 19-31 )

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: 
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. 

Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. 
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. 

E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

COMMENTO

È molto difficile avere l’ufficio parrocchiale davanti al sottopasso della stazione ferroviaria: la Parrocchia con la sua Chiesa, edificio di scarsa capacità evocativa per molte persone ormai, costituisce tuttavia un luogo a cui far riferimento per mille e mille richieste dei più svariati generi da parte di un’umanità , a volte sfortunata, a volte vittima in modo anche eccessivo dei propri sbagli.

Non ci si può permettere di fare ipotesi sulla verità delle richieste, non ci sarebbe tempo e né sarebbe opportuno instaurare un processo mentale per discernere l’attendibilità dei racconti e l’urgenza delle domande.

C’è sempre e comunque una soglia minima di aiuto che non può essere negata a nessuno: quella della fame, del freddo, della sete, la soglia della dignità dell’uomo che esige rispetto e carità, per non rischiare di incorrere nella cecità del cuore del ricco uomo vestito di porpora menzionato da Gesù nella parabola di oggi. Ripeto: il ricco porporato di cui parla Gesù è prima di tutto cieco nel cuore, incapace di pensare la sua abbondanza all’interno del vasto mondo delle relazioni umane e di un mondo inevitabilmente abitato anche dagli sfortunati e dai disagiati, e conseguentemente incapace di accorgersi di Lazzaro che giaceva davanti alla sua porta. La parabola non ci dice che Lazzaro avesse mai chiesto o bussato in realtà, ma evidenzia tuttavia la freddezza, l’indifferenza di un uomo, a cui Gesù fra l’altro non da neanche un nome tanto è insignificante, incapace di “sentire” e quindi di vedere. 

Non ci sono considerazioni morali e tanto meno di merito, e forse il povero Lazzaro non ero neppure il cosiddetto stinco di santo. Egli “meritava” attenzione semplicemente per la sua situazione di prostrazione e di umiliazione, e siccome non riceva consolazione in questa vita, la riceverà nel seno di Abramo, cioè dopo la morte; contrariamente all’uomo ricco per il quale valgono i “guai” di Gesù ( cfr Lc 6,24-26 ): Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione. Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete.

Difficile pensare a partire da questo testo l’automatica canonizzazione del povero, tuttavia Gesù annuncia semplicemente che ci sarà consolazione nella vita a venire per coloro che sono stati rifiutati e lasciati alla loro miseria, ci sarà invece l’amarezza del risveglio per coloro che hanno investito nell’effimero in tutto ciò che non dura e che non potrà oltrepassare la dogana della vita eterna. 

giovedì 15 settembre 2016

Commento al Vangelo della XXV Domenica TO anno C; 18 sett 2016



Il profumo della sapienza di Dio


TESTO ( Forma breve, Lc 16, 10-13 ):

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: 
«Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

COMMENTO

In un’intervista l’allora presidente della Fiat Gianni Agnelli disse che il modo migliore per “fare soldi” è quello di averli già in partenza. La battuta contiene una verità di fatto: il possesso di beni materiali rende progressivamente sempre più facile l’ulteriore accrescimento del capitale. Se chi ha 10 può raddoppiare, chi a 20 può triplicare, chi ha 50 può quadruplicare e così di questo passo. Il fascino del denaro è proprio questo: una prospettiva di indefinito aumento e accumulo, ma è anche il grandissimo pericolo per chi vuole crescere nella ricchezza che Gesù definisce “quella vera”, quella che dura per la vita eterna e che riguarda i valori dello spirito e del cuore. 

La ricchezza materiale è disonesta , secondo le parole di Gesù, perché ingannevole, tentatrice e causa frequente di cecità spirituale. Papa Francesco dice di non aver mai visto dietro un corteo funebre il camion dei Traslochi, e in effetti le uniche cose che potranno passare alla dogana della vita eterna sono quelle che avremo già donato in vita. Ecco la ricchezza vera di cui parla Gesù, la sapienza del cuore che sa riconoscere il giusto  primato dell’amore di Dio in ogni situazione, non anzitutto come esigenza di comportamento ma come realtà di fatto che ci precede e che in Gesù di Nazareth diviene storicamente visibile e assimilabile alla propria umanità.

La sapienza del mondo va in una direzione totalmente opposta a quella del Regno dei cieli, poiché la prima tende all’accumulo per sé, laddove la seconda tende al dono e al cercare il bene degli altri come il proprio. La sapienza del mondo vede il merito dappertutto e spinge a pensare che tutto si possa “comprare”, compresa la salvezza eterna; la sapienza di Dio apre gli occhi sulla Grazia, dono infinito senza merito umano, vera ed unica ricchezza dell’uomo redento da Cristo. 

Ecco perché Gesù dice: “Beati voi poveri perché vostro è il regno di Dio” e poi aggiunge “Guai a voi ricchi perché avete già ricevuto la vostra consolazione”. San Paolo rincarerà la dose dicendo:  “ l’avidità del denaro infatti è la radice di tutti i mali “ ( 1 Tm 6,10 ).

Le ricchezze di questo mondo sono cose di poco conto agli occhi di Dio, come ha dimostrato Gesù durante la sua vita terrena, itinerante e affidata alla provvidenziale assistenza di alcune donne al seguito, ma nella gestione di queste piccole cose il cuore dell’uomo trova già una palestra per allenare la sua fiducia in Dio, l’amore al prossimo e quindi il distacco da ciò che vera ricchezza non è. 

giovedì 8 settembre 2016

Commento al Vangelo della XXIV Domenica del TO, anno C; 11 settembre 2016




Un cuore di Padre ( e di madre ) sempre alla ricerca dell’uomo



TESTO ( forma breve : Lc 15,1-32 ) 

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.

Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».


COMMENTO

Il capitolo 15 del Vangelo di Luca è considerato il cuore del 3° Vangelo: è il messaggio della misericordia di Dio. In queste due brevi parabole, ma anche nella parabola del figlio prodigo che segue immediatamente e che abbiamo già ascoltato nella scorsa 4° Dom di Quaresima, tutto si gioca sul rapporto perdere-ritrovare.

Gesù è il volto umano di Dio venuto a recuperare ciò che era perduto, l’umanità stessa; è il Dio fatto uomo venuto ad attuare quanto il profeta Ezechiele aveva annunciato circa 600 anni prima. Così al capitolo 34: “dice il Signore Dio: Ecco io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura. Come un pastore passa in rassegna il suo gregge quando si trova in mezzo alle sue pecore che erano state disperse, così io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse nei giorni nuvolosi e di caligine”.
L’umanità si era perduta, ma in Gesù il Signore Dio è venuto a riprenderci, a farci gustare la sua gioia.

Le due parabole sono molto simili. Ciò che le accomuna è che l’attenzione del pastore e della donna si concentra su ciò che era perduto; la priorità non è custodire ciò che è già salvo , ma di recuperare ciò che si è perduto. Ecco perché nella realtà Gesù non ha paura di scandalizzare i suoi correligionari, scribi , farisei e dottori della legge, mangiando e sedendo con i peccatori; il loro scandalo, è secondario rispetto al suo obiettivo centrale che è quello di recuperare i pubblicani e i peccatori, coloro che erano ancora formalmente lontani dalla salvezza.

Un altro elemento comune è la passività con cui viene figurata l’umanità perduta. Non interessa il poi dell’uomo, la ricerca di Dio verso l’uomo è gratuita, la salvezza è tutta opera sua. La gioia di Dio è compiuta per la salvezza operata da Cristo; che poi l’uomo l’accolga o no , questo è un problema dell’uomo, che dovrà decidere se rifiutare o accogliere questa gioia, non senza l’azione della Grazia di Dio. La passività quindi non è in senso assoluto ma relativa all’iniziativa che appartiene sempre e in ogni caso al cuore paterno e materno del Signore. Proprio così Papa Francesco si esprime in EG. 3: “Non c’è motivo per cui qualcuno possa pensare che questo invito non è per lui, perché «nessuno è escluso dalla gioia portata dal Signore».1 Chi rischia, il Signore non lo delude, e quando qualcuno fa un piccolo passo verso Gesù, scopre che Lui già aspettava il suo arrivo a braccia aperte.”

Due parabole che sono quindi l’allegorizzazione dell’atteggiamento di Gesù, rivelatore a sua volta dell’atteggiamento di Dio. 
Un Dio pastore ma anche un Dio materno come ci rivela la parabola della dramma perduta. Infatti Gesù ci ha voluto rivelare e far conoscere il carattere viscerale e materno del cuore di Dio Padre , che contro ogni logica umana di convenienza o di calcolo, cerca sempre il “Si” dell’uomo.

lunedì 29 agosto 2016

Commento al Vangelo della XXIII Domenica del TO; 4 settembre 2016



In Cristo un nuovo sguardo sulla nostra storia


TESTO ( Lc 14,25-33 )

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: 
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. 
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. 
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. 
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».


COMMENTO

Alla domanda: Cosa dobbiamo fare per entrare nella porta stretta del Regno di Dio, cosa dobbiamo mettere sul piatto della vita per acquistare la salvezza della nostra esistenza?  Gesù risponde dicendo che non c’è da aggiungere ma piuttosto rinunciare ad un di più, e precisamente il peso della nostra superbia che vorrebbe meritare perfino il paradiso. Rinunciare a tutto vuol dire mettere come criterio di giudizio su tutto la mia dedizione a Cristo, morto e risorto per me, mettere tutti i miei affetti al secondo posto rispetto ad un amore che diventa fondante e ispirazione di tutte le altre relazioni umane.

L’amore a Cristo che mi porta ad accettare la croce come occasione di vicinanza con Lui, di compartecipazione al suo sacrificio rigenerante. La croce, quindi , che diventa uno scandalo insuperabile senza l’esempio di Cristo, perché o la sofferenza viene assunta e interpretata come occasione di bene, come possibilità di unificazione alla preghiera di intercessione del Salvatore, occasione di vicinanza ai poveri figli prediletti del Signore, oppure rimane dinanzi e sopra noi come macigno che ci schiaccia, senza possibilità di spiegazione.

Di fronte alle domande di senso della vita, Cristo offre il suo corpo, la sua esistenza come luogo di salvezza. Con Lui possiamo affrontare con 10 mila anche eserciti di 20 mila. Con Lui possiamo veramente mettere fondamenta sicure sul nostro cammino, perché più nessuno scandalo o dolore potrà sconvolgerci più di quanto ha fatto il dolore innocente di Cristo Gesù.

Abbracciando Cristo, Lui che vive in noi e con noi, anche la sconfitta diventa vittoria, e anche la caduta diventa occasione di rinascita.

domenica 21 agosto 2016

Commento al Vangelo della XXII Domenica del Tempo Ordinario; 28 agosto 2016



La prospettiva degli ultimi


TESTO ( Lc 14,1. 7-14 )

Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano ad osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».


COMMENTO

Da una considerazione pratica ad un insegnamento di vita. Il consiglio di scegliere l’ultimo posto viene dato da Gesù per un possibile vantaggio da conseguire e per un possibile rischio da evitare. E’ meglio scegliere l’ultimo posto con la possibilità che qualcuno di faccia andare avanti piuttosto che il rischio di dover retrocedere dopo aver scelto posti più di riguardo.

Dietro tale praticità c’è però la verità dell’uomo chiamato a partecipare alla festa di nozze del Signore Gesù dove chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato. La festa dell’incontro di Dio con l’uomo può essere gustata e vissuta dall’angolo visuale particolare e privilegiato degli ultimi, di quelli che siedono in fondo alla tavola, di quelli che apparentemente sono più lontani dal festeggiato e ai quali invece nel corso della festa sarà chiesto di avanzare e di avvicinarsi.

A Pietro scandalizzato dall’annuncio della passione, Gesù risponde di andare “dietro” perché i suoi pensieri sono secondo il mondo e non secondo Dio. Invece alla festa dell’incontro tra la misericordia di Dio e l’uomo si partecipa in pienezza, da vicino, potremmo dire in prima fila, se si assume la collocazione degli ultimi, perché in definitiva questa è la collocazione umana e storica scelta da Dio fattosi uomo.

Per questo stesso motivo per chi vuole condividere la propria gioia con altri è preferibile rivolgersi ai nulla tenenti che non avranno nulla da dare in cambio. Una festa umana, anche intesa nel senso ampio di più interessanti possibilità economiche o collocazioni sociali,  potrà essere occasione di una più grande gioia, perché adottando la scelta di Cristo Gesù che si colloca tra i meno potenti, tra quelli che meno possono, si potrà godere del suo stesso itinerario di Gloria, lui che “pur essendo di condizione divina, … spogliò stesso assumendo la condizione di servo, e umiliò se stesso fino alla morte di croce” . Proprio per questo Dio lo ha esaltato.

giovedì 18 agosto 2016

Commento al Vangelo della XXI Domenica TO anno C; 21 agosto 2016



La Salvezza: una questione di cuore


TESTO  ( Lc 13,22-30 )

In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. 
Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». 
Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. 

Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. 
Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. 

Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».


COMMENTO

Quando si affronta un concorso è naturale informarsi sul numero dei partecipanti e sul numero dei posti disponibili, così da poter avere subito una proporzione, una percentuale della possibilità di successo.

Nel suo cammino verso Gerusalemme Gesù , invece, sembra non escludere nessuno dal suo invito al regno di Dio, anzi l’evangelista Luca è particolarmente attento alla dimensione universale del messaggio di salvezza del Cristo. Forse proprio per questo a Gesù  che “passava insegnando per città e villaggi ” viene posta una domanda sul probabile esito numerico della sua missione di salvatore.

L’ingresso nel Regno di Dio  non dipenderà dalla nostra relazione con i con-correnti, essere prima o dopo degli altri, ma dalla nostra relazione rispetto all’unica porta di accesso: Cristo Signore. Potrebbero essere tanti o pochi coloro che accedono alla vita eterna, al compimento della loro esistenza terrena, ma tutti devono fare questo sforzo per entrare nell’unica porta di accesso che è l’umanità di Cristo. 

Un passaggio che chiede umiltà, che chiede il riconoscimento di non poter bastare a se stessi, e di una Grazia che non ci si può dare da soli. Per questo la porta è stretta!

L’uomo fin dalla sua comparsa sulla terra, ci racconta la Sacra Scrittura, ha avuto sempre la tentazione, alla quale a volte ha ceduto, di fare da sé, di essere arbitro del proprio destino, e di poter liquidare il rapporto con il suo Creatore con un obbedienza formale: come quelli che pensano di conoscere Gesù perché solo esteriormente hanno ascoltato le sue parole, o partecipato alle sue liturgie. A questi tali il Signore dirà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”.

La più grande ingiustizia compiuta dall’uomo consiste nel non riconoscimento dell’unico giusto, Cristo Signore, nostro unico creatore e redentore. Sforzarsi di entrare nella porta stretta significherà allora assentire dal profondo del cuore, accogliere umilmente la Grazia e la Misericordia del Signore a tal punto da donarla gratuitamente così come gratuitamente ci è stata donata.