mercoledì 10 gennaio 2024

Chi ama Chi chiama non sopporta perdite di tempo

  

Commento al vangelo della II domenica del Tempo Ordinario, anno B – 14 gennaio 2024

+ Dal Vangelo secondo Giovanni (1,35-42)


In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.
Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì - che, tradotto, significa maestro -, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» - che si traduce Cristo - e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» - che significa Pietro.

 

Commento

 In ragione di tutto quello che abbiamo contemplato durante il tempo natalizio sull’evento mirabile di Dio che si fa uomo, la fede cristiana – se vuole essere veramente esperienza di Cristo - deve passare inevitabilmente per i sensi umani, certamente non fermandosi solo ad essi. Giovanni Battista, anziché dare indicazioni generiche su quell’uomo da lui battezzato il giorno prima, attende che gli passi vicino; probabilmente in quei giorni alloggiavano nello stesso villaggio nei pressi del Giordano, ma solo quando lo vede passare davanti lo fissa e proclama: “Ecco l’agnello di Dio!”
Similmente anche Gesù, alla domanda teorica dei due discepoli del Battista – “Maestro dove abiti?” - a cui avrebbe potuto rispondere anche google maps o viewranger, li invita ad un’esperienza diretta, personale. “Venite e vedrete!”. Il mistero di Cristo non si incontra su una app o sulle pagine gialle, non sarà mai percepibile da un’intelligenza artificiale. Riportiamo alla memoria anche quello che abbiamo sentito nel Vangelo del giorno dell’Epifania: le massime autorità della religione ebraica sapevano a memoria che a Betlemme doveva nascere il Messia, e così pure Erode proprio da loro ne riceve conferma, eppure nessuno di questi si muove di un palmo dal proprio seggio per andare a constatare di persona.
I nostri sensi, dunque, sono necessari all’atto di fede ma se trovano il cuore chiuso, cioè non sono accompagnati da una buona dose di libertà interiore, dall’accoglienza delle ragioni del cuore - “che la ragione non può comprendere” direbbe Blaise Pascal -  a nulla servono, se non per fagocitare affannosamente ciò che non può nutrire la vita.
In San Francesco troviamo esempio mirabile di un uomo che in tutto sapeva contemplare la presenza amorevole del Signore: nelle vicende della storia e di quella sua personale, come anche nelle cose create. A tal riguardo san Bonaventura in modo molto sintetico disse di lui che “contemplava, nelle cose belle, il Bellissimo e, seguendo le orme impresse nelle creature, inseguiva dovunque il Diletto” (LM IX,1- FF 1162).
Ma a sua volta anch’egli divenne testimone, faro e luce davanti ai contemporanei, fra i quali alcuni più da vicino “venirono e videro”, sulla scia di quel primo compagno, Bernardo che “corse, e correndo, li parve d’essere tardo”.