giovedì 31 dicembre 2020

Commento al Vangelo della II domenica dopo Natale - 3 gennaio 2021


Sia la luce…e venne Gesù.
 

TESTO (Gv 1,1-18) 

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me,
perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.


COMMENTO

L’evangelista Giovanni ci riporta al principio, a ciò che era ancor prima della creazione. Il Natale di Gesù appena celebrato apre infatti uno spiraglio di luce sui misteri eterni di Dio. Poco o nulla noi uomini potremmo balbettare di Dio se lui per primo non si fosse fatto conoscere tramite i profeti, nell’Antico Testamento, e poi nella persona stessa di Gesù. In lui, dice San Giovanni, non solo tocchiamo la sapienza di Dio, la sua Parola, ma c’è la sua vita, la sua esperienza di figlio che tutto riceve da Dio Padre, e tutto a lui si dona. Questa stessa vita divina da figlio, totalmente accogliente e totalmente donata, è luce che risplende in un’umanità smarrita, che nel peccato di origine è chiusa nella propria autosufficienza individualista, e quindi orfana.

La vita eterna del Figlio di Dio ha cominciato a brillare anche nel nostro mondo creato, a partire proprio dalla persona storica di Gesù di Nazaret. Ciò che sostiene e che illumina la vita dei cristiani, ma anche di tutti gli uomini non è una sapienza da mettere in pratica, o una regola di vita da osservare, ma una vita – quella di Cristo - da trapiantare nel buio della propria esistenza. In fondo ci capita spesso di dire, parlando di una persona molto saggia, che è una persona “illuminata”; ebbene chi attraverso la via maestra (seppur non unica) dei Sacramenti entra in contatto con la Chiesa-corpo-di-Cristo-nella-storia, riceve la sua stessa presenza che trasfigurerà da dentro i propri gesti, le parole, il volto, i pensieri. Non si tratta di una pura metafora se San Paolo stesso dice: “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato sé stesso per me”. (Gal 1,20).

Chi accoglie nella fede la vita donata da Cristo Gesù, diventa lui stesso capace di donarsi come lui Cristo primo si è donato, e di essere una vita luminosa e una luce viva: luce di un amore totale che splende nelle tenebre dell’egoismo e della solitudine.

sabato 26 dicembre 2020

Commento al Vangleo della Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe - 27 dicembre 2020 - I domenica dopo Natale



La segreta grandezza


TESTO (Lc 2,22-40)

 Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.


Commento

In questa prima Domenica dopo Natale la Chiesa ci invita a celebrare la Santa famiglia di Nazaret. Dato che siamo nell’anno dedicato a San Giuseppe - così come dichiarato da Papa Francesco con la lettera Patris corde (con cuore di padre) dello scorso 8 dicembre -, proprio di lui, San Giuseppe, vorrei sottolineare la grandezza; di lui a cui appena si accenna in questi versetti e di cui nei Vangeli e in tutto il Nuovo Testamento non viene riportata nemmeno una mezza parola, e che si defila dalla vicenda di Gesù in silenzio e in punta di piedi. Di lui non sappiamo neppure quando e dove morì. 

In lui contempliamo la vera paternità che si fa dono, servizio. Tutto il contrario dell’immagine autoritaria del padre-padrone espressa da chi è stato ferito dalla vita e ha assoluto bisogno di riscatto, di qualcuno su cui rivalersi, fossero anche figli o coniuge.

La sua paternità è più che discreta; è umile, trasparente, ma non per questo anonima, perché in lui risplende la versione umanamente più degna della paternità di Dio.

Nel Vangelo si dice che Giuseppe e Maria si stupivano delle cose che si dicevano del loro figlio Gesù. Ecco: un uomo che continua a stupirsi, che non evade dal suo senso religioso e che rispetta le tradizioni della sua comunità; il suo cuore è presente, aperto a tutto quello che stava avvenendo, anche lo superava di gran lunga. 

Sembra straordinario pensare che Gesù abbia imparato a pensare e a dire “papà” proprio a partire dal volto di quell’uomo così semplice e al contempo così ricco di umanità.

Auguri a tutte le famiglie che in questa famiglia trovano un modello. Ma un augurio particolare ai papà, e ad una categoria particolare di papà: quelli separati e che di conseguenza vivono poco tempo anche coi loro figli. “Il vostro ruolo, la vostra importanza non è sminuita. La prolungata assenza dallo sguardo dei vostri figli non vi faccia sentire dimenticati. C’è una paternità che si esercita anche nella lontananza, che si esercita in piccoli gesti, nella preghiera, che potrà essere riconosciuta dono grande quando il tempo avrà permesso di soppesare gli eventi, perdonare gli eventuali errori, e trattenere le cose migliori. Auguri!

mercoledì 16 dicembre 2020

Commento al Vangelo della IV Domenica di Avvento - anno B - 20 dicembre 2020

 

Eccomi


 

TESTO (Lc 1,26-38)

 
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.



Commento

Quante volte molti di noi hanno pronunciato queste parole del saluto dell’angelo Gabriele: “Ave o Maria piena di Grazia,  – tradotto letteralmente – rallegrati piena di grazia!”?
Vi potremmo quasi trovare una sintesi delle profezie e delle attese dell’Antico Testamento riguardo il Messia, cioè il Salvatore. “Rallegrati” è l’invito alla gioia, a non perdere mai la consapevolezza che seppure in un mare di dolore non può più essere sradicato il seme della gioia. Perché? “Piena di grazia, il Signore è con te”. Ecco il motivo della gioia. L’umanità, da Maria in poi, è costantemente e pienamente accompagnata dall’amore gratuito di Dio. Noi sappiamo che da quel giorno in cui Maria ha detto “Eccomi” il figlio di Dio, il Verbo, non si è più staccato dalla nostra debole natura umana. Anche ora in Cielo Gesù, risorto e glorioso, è un Gesù che non si è spogliato della nostra umanità. 

Allora vale anche il viceversa: questa nostra umanità – quaggiù sulla terra - in cui tante lacrime e sofferenze ci accompagnano, non sono dimenticate, non sono nascoste al suo sguardo, alla sua misericordia. Ecco la più bella spiegazione che Dio ci dà del dolore umano facendosi uomo nel bambino Gesù. Papa Francesco al n. 57 della sua primissima Enciclica Lumen Fidei ci dice una cosa bellissima al riguardo: “All’uomo che soffre, Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua risposta nella forma di una presenza che accompagna, di una storia di bene che si unisce ad ogni storia di sofferenza per aprire in essa un varco di luce”. (LF 57)

Con queste parole ci auguriamo di accogliere l’invito alla gioia che Dio ci rivolge, in questo Natale e in ogni momento della vita: il bambino Gesù è il nostro varco di luce. Anche a noi il Signore dice: “Io sono con te, sempre. Io gioisco e piango con te, e tu in me condividerai la gioia definitiva del Cielo!”. Dunque, lasciamoci contaminare dalla presenza del Signore e che questo Natale ci trovi tutti Gesù-positivi!

giovedì 10 dicembre 2020

Commento al Vangelo della III Domenica di Avvento - anno B - 13 dicembre 2020


 

ACCOGLIERE PER TESTIMONIARE


 

TESTO (Gv 1,6-8.19-28)

 

Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.

Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».

Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».

 Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.


COMMENTO

Giovanni Battista afferma la sua identità dinanzi ai sacerdoti e leviti ponendosi in relazione, in riferimento ad altro da sé, all’Altro, a Colui che come luce viene nel mondo. L’Evangelista stesso nel prologo lo presenta come colui che “venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui”.
Il Battista ci insegna così il segreto della grandezza della nostra umanità: il metterci in relazione al Figlio di Dio, Gesù, il Cristo, la luce venuta nel mondo. Se il Signore Gesù, lui stesso, dice che fa quello che vede fare dal Padre e che è venuto per fare la sua volontà, quanta più attenzione dovremmo avere noi, figli per grazia ricevuta!
Ma come è difficile pensarci come un dono per l’altro! Come è difficile per la nostra mentalità individualista accettare la nostra costitutiva vocazione alla comunione, e alla comunione in Cristo, come ricorda San Paolo all’inizio della Prima lettera ai Corinti!

Eppure Papa Francesco nella Christus vivit (n.286) rivolto a tutti i giovani dice che “Tante volte, nella vita, perdiamo tempo a domandarci: “Ma chi sono io?” Tu puoi domandarti chi sei tu e fare tutta una vita cercando chi sei tu. Ma domandati: “Per chi sono io?”…Dio ha posto in te molte qualità, inclinazioni, doni e carismi che non sono per te, ma per gli altri”.

Il Battista annuncia che in mezzo a loro è già presente il Messia, lo sposo dell’umanità a cui nessuno deve cedere tale diritto, perché gli compete per Natura, ma essi non lo conoscono, e non lo potranno conoscere proprio perché orientati a sé stessi, alla propria religiosità meritocratica. E anche Gesù dirà: “E come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo?” (Gv 5,44).

La parola d’ordine è proprio accoglienza, accoglienza della luce che viene ad illuminare il buio del mondo, del Cristo Gesù che viene a farci brillare di quella gloria che lui stesso riceve dal Padre e che ci trasmette nella forza dello Spirito Santo.


venerdì 4 dicembre 2020

Commento al Vangelo della II Domenica di Avvento - anno B - 6 dicembre 2020



Traslocare in Cristo

 

TESTO (Mc 1,1-8)

 Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Come sta scritto nel profeta Isaìa:
«Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:
 egli preparerà la tua via.
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri»,
vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.
Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».


Commento

  Abbiamo ascoltato i primi versetti del Vangelo di Marco: “Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, figlio di Dio”. Vangelo significa “buona notizia”. Gesù è venuto a portarci una buona notizia. La sua predicazione è una buona notizia! Sembra scontato ma non lo è. Anzi nel vangelo troviamo alcuni farisei che sembrano rimpiangere quando con la legge di Mosé si poteva ripudiare la propria moglie, e che con il completamento della legge introdotto da Gesù non conviene sposarsi.

La buona notizia (Euanghelion) è il suo messaggio di salvezza, la sua predicazione di ribaltamento totale delle sorti degli uomini (“Gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi”).

Ma dobbiamo aggiungere che Gesù stesso, la sua persona, è una buona notizia, lui è il Cristo, l’unto, il prescelto da Dio, quello da secoli attendeva il popolo di Israele. Il Salvatore, l’unico che ci offre prospettive di vita oltre quella soglia che è l’ultimo spauracchio anche dei più potenti della terra: sorella morte.

La fede cristiana, lo sappiamo, non è un insieme di regole o di dogmi religiosi, ma l’esperienza di un incontro con una persona vivente: Gesù risorto e vivo. È una buona notizia questa che dobbiamo continuamente far risuonare nei nostri cuori: Gesù è vivo e ci ama, ci ama dello stesso amore ricevuto dal Padre e con il quale si dona al Padre, per la nostra eterna salvezza.

Ma il bello è proprio qui: la conversione predicata dal Battista è per accogliere il Cristo che ci battezza (letteralmente: ci immerge) nello Spirito Santo, la terza persona della Trinità, il circolo, la corrente di amore tra lui – il Figlio - e il Padre. Questo è ciò che è avvenuto nel Battesimo, per chi lo ha ricevuto. Partecipare di questa esperienza di dono reciproco. Dirà San Paolo: “voi non avete ricevuto un spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo. “Abbà Padre!” (Rm 8,14-17).