sabato 14 marzo 2020

Commento al Vangelo della III Domenica di Quaresima, anno A; 15 marzo 2020



 

IL VERO TEMPIO CHE SIAMO NOI
 



TESTO (Forma breve: Gv 4, 5-15.19b-26.39a.40-42)

In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere!, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?».
 

Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua. Vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare».
Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità».
Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».
Molti Samaritani di quella città credettero in lui. E quando giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
 


COMMENTO
 

Il dialogo tra Gesù e la donna samaritana è molto ricco di riferimenti e di agganci ad altri momenti centrali del Vangelo. Il dialogo avviene a mezzogiorno e un Gesù stanco chiede da bere: la stessa domanda, alla stessa ora, Gesù la fece nel giorno della sua crocifissione. 

E poi la donna samaritana, che stava vivendo per la sesta volta una relazione quasi-nuziale ma che nuziale non era, perché quell’uomo, come le profetizza Gesù, non era suo marito; c’è un evidente richiamo alla festa di nozze di Cana con le sei giare di acqua che grazie alla presenza di Gesù diventano vino e “salvano” una festa ormai compromessa. Simbolicamente e quindi nella realtà, Gesù è il settimo uomo della samaritana, il suo vero sposo, l’unico che poteva portare pienezza al suo cuore inquieto, l’unico che poteva dissetare in lei un’evidente sete d’amore che fino a quel momento era rimasta insoddisfatta. Gesù che chiede da bere, proprio Lui, chiede a noi il permesso di dissetarci, di darci un’acqua per la quale non avremo più sete in eterno. 

La donna samaritana è la figura della nostra chiesa, un popolo visitato dall’Alto e che, corrispondendo all’amore del suo Sposo-Signore, potrà finalmente vivere in Lui e adorarlo in ogni momento. Infatti Dio è spirito, dice Gesù, non perché sia evanescente o non concreto, come spesso noi pensiamo di ciò che è spirituale, ma perché egli abita la comunione del suo corpo, che è la Chiesa, con la forza del suo Spirito d’amore. Dio che è comunione trinitaria d’amore, si dona a noi per permetterci di vivere la medesima esperienza; e questo è proprio ciò che avviene nelle nostre relazioni ecclesiali, se sono improntate all’amore fraterno.
 

Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità. Non si tratta più di un luogo fisico privilegiato, fosse anche il tempio di Gerusalemme – fino a quel tempo unico luogo di culto ufficiale – perché dalla Pasqua di Cristo in poi, grazie a Lui e in Lui possiamo adorare e chiamare Dio “Padre” in ogni luogo della terra. Sono i vincoli di amore fraterno e non più le mura di un tempio, a custodire “il luogo sacro” in cui Cristo-vivo si rende presente.
 

Cari amici, più che mai in questi tempi, custodiamo vivi legami di carità e quindi di comunione con i nostri fratelli in Cristo. Le nostre celebrazioni, che pur ci mancano, a questo sono ordinate: a farci vivere sempre più in comunione con Cristo e i fratelli. Ora, anche tramite i nostri pastori e lo loro direttive, il senso di comunione ecclesiale ci chiede di vivere l’amore fraterno, la comunione in Cristo, in modo assai particolare. Ma è la comunione e lra carità, il fine di tutto, perché la carità non avrai mai fine! (1 Cor 13,8).