venerdì 26 maggio 2017

Commento al Vangelo della Domenica dell'Ascensione, 28 maggio 2017



Tra dubbi ed esitazioni


TESTO (Mt 28,16-20)

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. 
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».


COMMENTO

San Giovanni Paolo II disse che “la fede si rafforza donandola” (Redemptoris Missio, 2), considerando così un dato di fatto l’imperfezione della fede di colui che va ad annunciare la Buona Novella di Cristo. 
Ed imperfetta doveva essere anche la fede degli undici discepoli ri-convocati da Gesù sul monte in Galilea dopo la sua risurrezione, se è vero che alla sua vista si prostrarono, ma allo stesso tempo dubitarono. 

Tuttavia per loro non è più il momento di ulteriori segni, di ulteriori discorsi o ragionamenti: è giunto il momento della missione, della partenza, del ridonare tutto quello che l’Onnipotenza di Dio rivelata nello scandalo della croce ha permesso loro di vedere, ascoltare e toccare. Il loro invio avviene dunque nel dubbio e nella fatica del credere che saranno superati solamente dai segni che accompagneranno la missione.

La Chiesa nasce dalla fede di questi undici, forte solo della promessa finale di Gesù che chiude il Vangelo di Matteo: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». La Chiesa per sua natura dinamica, missionaria, corpo in movimento, non potrà mai esaurire il mandato di trasmettere quanto le è stato insegnato a partire e tramite gli apostoli, perché il compito di andare, annunciare e battezzare è l’ultima e più grande eredità che le viene consegnata. 

Se sulla montagna Mosé ha ricevuto la legge, e su una montagna Gesù ha proclamato il completamento della legge nelle Beatitudini, su questa montagna della Galilea Gesù pone un fondamento altrettanto saldo e definitivo per tutti i tempi a venire: il compito di trasmettere il messaggio di salvezza e di introdurre ritualmente tutte le genti nella sua stessa vita di risorto. Questa fiducia di partenza si rafforzerà solo cammino facendo.

venerdì 19 maggio 2017

Commento al Vangelo della VI Domenica di Pasqua, 21 maggio 2017

              

 Nello sguardo dello Spirito


TESTO ( Gv 14,15-21) 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. 
Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.
Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».


COMMENTO

“Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”. Molti di noi avranno sentito questa bellissima frase tratta dalla celebre favola per adulti “Il Piccolo Principe”. 
Vedere col cuore significa vedere a partire da un atteggiamento di simpatia, di affetto profondo nei confronti di ciò che si guarda. Quante volte e quante cose noi vediamo eppure non le conosciamo, cioè non siamo capaci di coglierne il significato, la bellezza più intima e vera che racchiudono!

 I mezzi di comunicazione ci mettono a disposizione immagini di tutti i tipi, e da tutte le parti del mondo, ma esse scorrono via non lasciando alcuna traccia nella nostra vita, se non fugaci emozioni; vedere col cuore significa andare oltre il dato visibile, avere uno sguardo penetrante, perché penetrato da un desiderio di affetto e di interesse per ciò che abbiamo davanti. Pier Paolo Pasolini dopo aver incontrato Santa Teresa di Calcutta disse: “Madre Teresa, quando guarda, vede”. Perché i suoi occhi erano illuminati dall’amore, dalla passione per la vita, dalla cura per qualunque fratello le fosse capitato davanti 
Come possiamo noi, vedere con il cuore? Detto in altri termini: come possiamo amare e conoscere nel profondo, ed essere capaci dunque di vedere ciò che è invisibile allo sguardo degli occhi? E chi può darci questo amore così grande? 

Il Signore Gesù ci invita a rimanere sempre in lui e nella comunione col Padre realizzata nello e dallo Spirito, ma per rimanere in qualsiasi comunità o famiglia, bisogna pur accettarne le regole di convivenza. Per questo obbedire ai comandamenti di Gesù non assume un significato di sottomissione servile ma significa esprimere nella praticità e fattualità della vita, il desiderio di voler permanere nella comunione d’amore di Dio Padre che Gesù ci ha rivelato e alla quale Gesù stesso si è sottomesso. Gesù dice infatti: “Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri (Gv 15,17). 

L’amore ricevuto da Dio per mezzo dello Spirito e l’amore custodito nell’amore fraterno ci permetteranno di vedere cose altrimenti invisibili. Per questo Pietro insieme agli apostoli potrà dire riguardo i fatti della risurrezione di Gesù: “…di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono”. (Atti 5,32)

giovedì 11 maggio 2017

Commento al Vangelo di Domenica 14 maggio 2017, V Domenica di Pasqua



AVANTI C’È POSTO!              


TESTO   ( Gv 14, 1-12 )

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via».

Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». 

Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. 

Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre».


COMMENTO

In questo passo Gesù si presenta in tutta la verità della sua persona e della sua missione. Abituati a sentirlo parlare in parabole e per immagini, veramente questo discorso sembra duro e difficile a capirsi. “Io sono nel Padre e il Padre è in me”. Come può una persona stare e vivere dentro un’altra? 

La qualità essenziale di una persona per noi è la sua consistenza fisica, il suo presentarsi ai nostri occhi in carne e ossa, con un volto ben preciso. Ma dalle parole di Gesù capiamo che essere una persona non significa anzitutto qualcosa di fisico, di corporale, ma piuttosto il fatto di esserci, il fatto di essere presente con il suo amore, la sua affezione, le sue azioni; il fatto cioè di inter-agire con noi. Il fatto visibile non è poi il solo aspetto ad essere determinante se pensiamo che tanti ebrei contemporanei di Gesù videro, ascoltarono in presa diretta, potremmo dire in un contatto fisico, ma non credettero alla sua missione. Anzi proprio di essi Gesù disse: “Voi non credete perché non fate parte delle mie pecore”, cioè non fate parte di quelli che come me vivono l’atteggiamento del dono e cercano di fare la volontà di Dio al di sopra di ogni cosa. 

La presenza di Gesù nel Padre e del Padre in Gesù è certamente un grande mistero, ma non nel senso di qualcosa di inconoscibile, quanto nel senso che, non potendosi comprendere solo per via intellettuale e di ragionamento, va colto invece in una conoscenza intima che nel linguaggio della Bibbia significa totale coinvolgimento personale e del cuore.

Se ci lasciamo interpellare dalla presenza di Gesù, vivo e risorto in mezzo a noi col suo spirito, e se lo accoglieremo con cuore sobrio e disponibile, scopriremo grazie a Lui i tesori dell’amore di Dio Padre; perché Gesù vive nel cuore del Padre e noi saremo dove è Gesù che, nel cuore di Dio Padre, sta preparando un posto anche per noi. 

giovedì 4 maggio 2017

Commento al Vangelo della IV Domenica di Pasqua, 7 maggio 2017





          La porta della vita



TESTO ( Gv 10,1-10 )

In quel tempo, Gesù disse: 
«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 

Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 

Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».


COMMENTO

Gesù è il riferimento e il modello unico e insostituibile per chi vuole parlare al cuore del popolo di Dio. Gesù è venuto perché Israele e tutta l’umanità abbia la vita e l’abbia in abbondanza e proprio per questo ha accettato di “perdere” la propria vita, donandola sulla croce: per sanare col suo atto di amore misericordioso un’umanità che si era allontanata dalla giustizia di Dio. 

Lui è il modello del giusto modo di rapportarsi con l’umano: la logica del dono gratuito, senza ritorno, e “le pecore ascoltano la sua voce”. Al di fuori di questo atteggiamento esiste l’opportunismo, l’interesse, la ricerca della gloria personale, il dare qualcosa con l’intenzione di trarne un beneficio, la mania di protagonismo. Gesù è l’unico che nell’atto di amore all’uomo aveva qualcosa da perdere, Lui che in quanto Dio è atto di amore perfetto e completo. Ogni atto d’amore di questo mondo, per poco che sia, ha sempre una traccia di tornaconto. E purtroppo la storia dell’umanità, ma anche le nostre storie personali ci hanno mostrato quanto è frequente l’atteggiamento di chi fa del bene, per mettersi in evidenza, per farsi notare e “fare carriera” in ambiti ecclesiali (in tutto o in parte); 

l’atteggiamento non raro di chi non cerca la crescita del gregge a lui affidato ma solo un trampolino di lancio per la sua leadership, per affermare la sua posizione di comando e di autorità.
I guardiani del gregge dovranno sempre saper vagliare lo spirito con cui gli uomini si avvicinano ai fratelli loro affidati, perché Gesù dice chiaramente che il guardiano apre la porta a colui che entra dalla porta, che è pastore e non mercenario o rapinatore. 
La porta, la persona di Gesù, ha una forma angusta, la forma della croce, e quindi è una porta stretta; non perché il Signore vuole escludere qualcuno ma perché l’ingresso non deve e non può essere casuale ma il frutto di una scelta consapevole, la logica del dono.