Ferite come feritoie
TESTO (Gv 4,5-42)
(versione abbreviata)
In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani.
Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva».
COMMENTO
Mentre leggo questo brano ho davanti agli occhi anche il brano dell’uomo ricco e del povero Lazzaro. Il ricco mangiava a crepapelle e sotto le sue finestre c’era un povero di nome Lazzaro, affamato, piagato, che però nel racconto di Gesù troverà consolazione dopo la morte a differenza del ricco che aveva già trovato consolazione nei beni di questo mondo.
Qui il povero affamato e assetato, nella realtà dei fatti, è Gesù; anche se nulla ci fa pensare alla donna samaritana come ad una donna ricca, per lei si presenta la stessa possibilità di incontrare la persona di Cristo vivendo quel momento storico nella sua problematicità/opportunità: dar da bere ad un uomo assetato.
Per la donna samaritana suona il tempo della salvezza nel momento in cui il suo cuore si apre all’accoglienza di quel bisogno concretissimo, umano che ha dinanzi. Questa è la porta di ingresso attraverso la quale Gesù le si rende presente con un’acqua, la sua misericordia, ben più dissetante e salutare di quella che Lui stesso le stava chiedendo.
Proprio in questo modo, l’amore misericordioso di Dio ha scelto di entrare nel mondo: presentandosi lui per primo nella miseria umana di un uomo povero, assetato, e stanco per un lungo viaggio.
L’incontro con la samaritana è esemplare dello stile con cui Dio entra nel mondo di ognuno di noi. La sua luce, e la sua Grazia, come acqua fresca, entrano nella nostra esistenza se solo sappiamo lasciarci sollecitare dalle ferite di chi ci passa accanto. In quelle ferite il Signore ci aspetta, e allora quelle ferite diventano come delle feritoie da cui entra per noi la luce di Cristo Signore.
Concludo con un passo del paragrafo 57 dell’Enciclica Lumen Fidei di Papa Francesco: La luce della fede non ci fa dimenticare le sofferenze del mondo. Per quanti uomini e donne di fede i sofferenti sono stati mediatori di luce! Così per san Francesco d’Assisi il lebbroso, o per la Beata Madre Teresa di Calcutta i suoi poveri. Hanno capito il mistero che c’è in loro.