lunedì 29 agosto 2016

Commento al Vangelo della XXIII Domenica del TO; 4 settembre 2016



In Cristo un nuovo sguardo sulla nostra storia


TESTO ( Lc 14,25-33 )

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: 
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. 
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. 
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. 
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».


COMMENTO

Alla domanda: Cosa dobbiamo fare per entrare nella porta stretta del Regno di Dio, cosa dobbiamo mettere sul piatto della vita per acquistare la salvezza della nostra esistenza?  Gesù risponde dicendo che non c’è da aggiungere ma piuttosto rinunciare ad un di più, e precisamente il peso della nostra superbia che vorrebbe meritare perfino il paradiso. Rinunciare a tutto vuol dire mettere come criterio di giudizio su tutto la mia dedizione a Cristo, morto e risorto per me, mettere tutti i miei affetti al secondo posto rispetto ad un amore che diventa fondante e ispirazione di tutte le altre relazioni umane.

L’amore a Cristo che mi porta ad accettare la croce come occasione di vicinanza con Lui, di compartecipazione al suo sacrificio rigenerante. La croce, quindi , che diventa uno scandalo insuperabile senza l’esempio di Cristo, perché o la sofferenza viene assunta e interpretata come occasione di bene, come possibilità di unificazione alla preghiera di intercessione del Salvatore, occasione di vicinanza ai poveri figli prediletti del Signore, oppure rimane dinanzi e sopra noi come macigno che ci schiaccia, senza possibilità di spiegazione.

Di fronte alle domande di senso della vita, Cristo offre il suo corpo, la sua esistenza come luogo di salvezza. Con Lui possiamo affrontare con 10 mila anche eserciti di 20 mila. Con Lui possiamo veramente mettere fondamenta sicure sul nostro cammino, perché più nessuno scandalo o dolore potrà sconvolgerci più di quanto ha fatto il dolore innocente di Cristo Gesù.

Abbracciando Cristo, Lui che vive in noi e con noi, anche la sconfitta diventa vittoria, e anche la caduta diventa occasione di rinascita.

domenica 21 agosto 2016

Commento al Vangelo della XXII Domenica del Tempo Ordinario; 28 agosto 2016



La prospettiva degli ultimi


TESTO ( Lc 14,1. 7-14 )

Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano ad osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».


COMMENTO

Da una considerazione pratica ad un insegnamento di vita. Il consiglio di scegliere l’ultimo posto viene dato da Gesù per un possibile vantaggio da conseguire e per un possibile rischio da evitare. E’ meglio scegliere l’ultimo posto con la possibilità che qualcuno di faccia andare avanti piuttosto che il rischio di dover retrocedere dopo aver scelto posti più di riguardo.

Dietro tale praticità c’è però la verità dell’uomo chiamato a partecipare alla festa di nozze del Signore Gesù dove chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato. La festa dell’incontro di Dio con l’uomo può essere gustata e vissuta dall’angolo visuale particolare e privilegiato degli ultimi, di quelli che siedono in fondo alla tavola, di quelli che apparentemente sono più lontani dal festeggiato e ai quali invece nel corso della festa sarà chiesto di avanzare e di avvicinarsi.

A Pietro scandalizzato dall’annuncio della passione, Gesù risponde di andare “dietro” perché i suoi pensieri sono secondo il mondo e non secondo Dio. Invece alla festa dell’incontro tra la misericordia di Dio e l’uomo si partecipa in pienezza, da vicino, potremmo dire in prima fila, se si assume la collocazione degli ultimi, perché in definitiva questa è la collocazione umana e storica scelta da Dio fattosi uomo.

Per questo stesso motivo per chi vuole condividere la propria gioia con altri è preferibile rivolgersi ai nulla tenenti che non avranno nulla da dare in cambio. Una festa umana, anche intesa nel senso ampio di più interessanti possibilità economiche o collocazioni sociali,  potrà essere occasione di una più grande gioia, perché adottando la scelta di Cristo Gesù che si colloca tra i meno potenti, tra quelli che meno possono, si potrà godere del suo stesso itinerario di Gloria, lui che “pur essendo di condizione divina, … spogliò stesso assumendo la condizione di servo, e umiliò se stesso fino alla morte di croce” . Proprio per questo Dio lo ha esaltato.

giovedì 18 agosto 2016

Commento al Vangelo della XXI Domenica TO anno C; 21 agosto 2016



La Salvezza: una questione di cuore


TESTO  ( Lc 13,22-30 )

In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. 
Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». 
Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. 

Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. 
Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. 

Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».


COMMENTO

Quando si affronta un concorso è naturale informarsi sul numero dei partecipanti e sul numero dei posti disponibili, così da poter avere subito una proporzione, una percentuale della possibilità di successo.

Nel suo cammino verso Gerusalemme Gesù , invece, sembra non escludere nessuno dal suo invito al regno di Dio, anzi l’evangelista Luca è particolarmente attento alla dimensione universale del messaggio di salvezza del Cristo. Forse proprio per questo a Gesù  che “passava insegnando per città e villaggi ” viene posta una domanda sul probabile esito numerico della sua missione di salvatore.

L’ingresso nel Regno di Dio  non dipenderà dalla nostra relazione con i con-correnti, essere prima o dopo degli altri, ma dalla nostra relazione rispetto all’unica porta di accesso: Cristo Signore. Potrebbero essere tanti o pochi coloro che accedono alla vita eterna, al compimento della loro esistenza terrena, ma tutti devono fare questo sforzo per entrare nell’unica porta di accesso che è l’umanità di Cristo. 

Un passaggio che chiede umiltà, che chiede il riconoscimento di non poter bastare a se stessi, e di una Grazia che non ci si può dare da soli. Per questo la porta è stretta!

L’uomo fin dalla sua comparsa sulla terra, ci racconta la Sacra Scrittura, ha avuto sempre la tentazione, alla quale a volte ha ceduto, di fare da sé, di essere arbitro del proprio destino, e di poter liquidare il rapporto con il suo Creatore con un obbedienza formale: come quelli che pensano di conoscere Gesù perché solo esteriormente hanno ascoltato le sue parole, o partecipato alle sue liturgie. A questi tali il Signore dirà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”.

La più grande ingiustizia compiuta dall’uomo consiste nel non riconoscimento dell’unico giusto, Cristo Signore, nostro unico creatore e redentore. Sforzarsi di entrare nella porta stretta significherà allora assentire dal profondo del cuore, accogliere umilmente la Grazia e la Misericordia del Signore a tal punto da donarla gratuitamente così come gratuitamente ci è stata donata. 

mercoledì 10 agosto 2016

Commento al Vangelo della XX Domenica del TO; 14 agosto 2016



   Il Fuoco della Comunione vera


TESTO ( Lc 12,49-53 )

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 
«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».


COMMENTO

Se l’amore a Dio deve essere al primo posto nella graduatoria delle cose per cui vivere, allora anche i rapporti familiari possono passare in secondo piano, se mai fosse in questione la fedeltà all’insegnamento di Cristo Signore.
C’è una divisione frutto del peccato e dell’odio che porta alla morte, ma c’è anche una divisione frutto dell’amore che porta al risveglio delle coscienze, e tramite questo ad una possibilità di conversione,  e di conseguenza ad una comunione più vera, più forte e più durevole.

Penso in questo momento alle persone rigettate dalle loro famiglie a causa della scelta di farsi battezzare nella fede di Cristo. Di fatti simili ho memoria durante i miei anni di missione in Africa. Persone minacciate di morte per il desiderio di ricevere il Battesimo, ma che in punto di morte hanno chiesto misericordia per i loro uccisori e hanno invitato alla misericordia i loro cari. 

Tali scelte di vita creano divisione nell’immediato ma poi restano come pietre esemplari di nuovi rapporti di comunione e di accoglienza e tolleranza , anche per chi ha fatto scelte di fede differenti.

Penso anche al coraggio di tanti genitori che , pur nella sofferenza e nella lacerazione interiore , lasciano alla porta di casa figli che non hanno coraggio e forza per uscire dal tunnel delle più svariate forme di dipendenza; a volte il fuoco dell’amore deve essere capace di superare anche i confini del viscerale desiderio di protezione e di accomodamento. 

Il fuoco dell’amore di Dio , venuto dal Cielo sulla terra tramite la persona, la parola e i gesti di Gesù, purifica da tutto ciò che è scoria e allo stesso tempo fonde insieme in un’unità più  duratura. Questo il fuoco che Gesù è venuto a gettare , il Battesimo che è venuto a ricevere: la verità di un amore che non fa’ sconti, che non cerca di accomodare a tutti i costi, ma che invece è disposto a “rompere” catene di falsità pur di conquistare e riportare all’amore di Dio venuto per salvare e ridare all’uomo una vita veramente umana, che dura in eterno. 

giovedì 4 agosto 2016

Commento al Vangelo della XIX Domenica del Tempo Ordinario; 7 agosto 2016



Partecipi delle Nozze Eterne   


TESTO  ( Forma breve : Lc 12, 35-40 )

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 
«Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. 
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! 

Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».


COMMENTO

Cosa vuol dire vegliare con i fianchi cinti e le lampade accese? Vuol dire che la veglia non è semplicemente il fatto di non dormire ma la condizione necessaria, seppur non sufficiente, per essere attivi, attenti a tutto quello che gira attorno a noi. C’è un padrone di casa che è partito per una festa di nozze e ora sta tornando per condividerla con ciascuno di noi. Questo padrone è partito per celebrare una festa di nozze con tutta l’umanità sua sposa, ma in particolare con le nostre sofferenze, con i nostri mali, soprattutto quello morale, ma anche quello fisico , esistenziale. Lui si è sposato con la parte più fragile della nostra umanità e ora sta tornando per donarci la sua stessa gioia, la sua stessa corona di vittoria, ottenuta nella risurrezione dopo la morte di croce.

Chi godrà di questo ritorno ? Chi potrà gioire del ritorno di questo sposo che viene a farci parte della sua vittoria sul male, sulla morte, sulla tristezza? L’attesa del ritorno del Signore non è inerzia; la beatitudine che Gesù promette non è la comodità del divano come ha detto Papa Francesco ai giovani di tutto il mondo riuniti a Cracovia. Saranno beati e felici coloro che in questo frattempo avranno imitato la sua scelta di campo, disponendosi con la propria vita , a fare le stesse scelte.

Stringersi la veste significa lavorare alla trasformazione di questo mondo ferito dall’egoismo, significa curare come ha fatto Lui,  il Maestro Gesù,  le piaghe delle sofferenze degli uomini, per farsi prossimi di coloro che dalle preoccupazioni dei grandi e dei potenti sono esclusi perché non hanno nulla da dare in cambio.

Tenere la lampada accesa significa coltivare e custodire una coscienza vigile che non fa compromessi con lo spirito del mondo. La lampada accesa è la coscienza che cerca la luce della verità, che sa guardarsi intorno, che sa discernere il bene dal male, che vuole illuminare tutte le situazioni più trascurate e più neglette.
 Tenere la lampada accesa significa voler portare la luce di Cristo risorto a chi ha ormai perso ogni speranza e ogni prospettiva positiva della vita. 
Quella lampada accesa è la nostra fede che deve illuminare il nostro passo e quello dei fratelli nell’attesa del ritorno della Luce vera, la luce di Cristo risorto glorioso che tornerà nell’ultimo giorno per estendere a tutti gli uomini la gioia della vita eterna, la gioia di un amore che nel suo abbraccio ci ha salvati e condiviso la sua vita senza fine. 

Portare e donare speranza: forse è proprio questo che il mondo più chiede ai discepoli di Cristo. E nell’attesa del suo ritorno ogni uomo è chiamato a donare gratuitamente l’amore da Lui gratuitamente ricevuto.