giovedì 21 marzo 2019

Commento al Vangelo di Domenica 24 marzo 2019, III di Quaresima anno C






 Un tempo per ogni cosa



TESTO (Lc 13,1-9)                    

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».


COMMENTO

Gesù si trova ad essere interrogato su due eventi tremendi che hanno sconvolto rispettivamente la Galilea e la Giudea (Gerusalemme in particolare), due eventi con cause diverse: nel primo caso si tratta della pura cattiveria umana, nel secondo di quella che noi normalmente chiamiamo fatalità, anche se non dovremmo credere al fato cosi come lo intendevano gli antichi greci, cioè di una sorte già decisa a priori.

Gesù esclude drasticamente ogni legame tra tali eventi e la responsabilità morale delle vittime ma non esclude il legame tra una possibile fine disastrosa della nostra esistenza e le nostre personali scelte di vita. Il punto è che il giudizio non è di questo tempo e di questo mondo. Non sono da ricercare negli accadimenti di questo tempo il premio e la pena per la nostra scelta a favore o di chiusura nei confronti della salvezza di Cristo. Ovviamente la nostra libertà ha delle conseguenze sul piano personale ma non negli esiti di quaggiù. E’ così che spesso assistiamo alla buona sorte (almeno apparente) di chi ci sembra malvagio, e alla disgrazia (sempre secondo le apparenze) di chi ci sembra meritevole di tutto il bene possibile. Il punto è che il giudizio non è di questo mondo, ma di quell’ultimo giorno quando, come diciamo nel Credo, “il Signore Gesù verrà a giudicare i vivi e i morti”.

La parabola che Gesù racconta tende a chiarire tutto questo, e anzi i tre anni dopo i quali il padrone viene a cercare i frutti del fico possono richiamare i tre anni della predicazione di Gesù, predicazione in larga parte inascoltata e che anzi culmina con la sua passione e morte ( …  e resurrezione). Ma c’è un altro anno di pazienza, ed esso potrebbe ben rappresentare il tempo presente, questo tempo che dura da 2 mila anni e  che stiamo vivendo tra la prima e la seconda, definitiva, venuta del Cristo. L’anno di Grazia che Egli inaugurò nella sinagoga di Nazaret e che durerà fin quando il Signore ci darà giorni da vivere. Saremo capaci di cogliere questo tempo come occasione di ritorno al cuore misericordioso di Dio, come risposta positiva al suo appello per la vita eterna?  A ciascuno la risposta e le conseguenze che ne deriveranno, alla fine di tutto. 

giovedì 14 marzo 2019

Commento al Vangelo di Domenica 17 marzo 2019, II di Quaresima anno C




Un cuore … e tre capanne 


TESTO (Lc 9,28-36)

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. 
Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 
Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva. 
Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». 
Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto


COMMENTO

Il Vangelo di Domenica scorsa ci ha raccontato le tentazioni di Gesù nel deserto, anteprima di tutte le incomprensioni degli uomini verso la sua missione di salvezza che passa attraverso un totale e fiducioso abbandono al Padre.
Il Vangelo di questa II Domenica di Quaresima ci racconta, invece, una piccola anteprima della vittoria finale di Gesù, quando ritornerà nella gloria di Dio Padre, quel Padre che addirittura interviene con la sua voce per invitare i suoi tre discepoli ad ascoltare la sua parola. Si tratta della Trasfigurazione, tradizionalmente collocata sul monte Tabor, monte che però non compare mai nella geografia del Vangelo.

San Luca tiene a sottolineare, cosa che non fanno gli altri due evangelisti nel raccontare lo stesso episodio, che Gesù salì sul monte per pregare, alla ricerca quindi di una più profonda intimità col Padre. Proprio mentre è in preghiera avviene un evento inaspettato, una vera e propria trasfigurazione del suo volto. La sua figura cambia di aspetto e assume i tratti della gloria divina, indescrivibili per lo stesso narratore che si limita a dire che Pietro, Giovanni e Giacomo “videro la sua gloria”.

La voce della nube in cui tutti vengono avvolti invita i tre discepoli all’ascolto della parola di Gesù. Essa ci richiama la nube dell’esodo d’Israele e infatti l’apparizione di Mosé ed Elia stanno a rappresentare un ponte con tutta la tradizione dell’Antico Testamento. 

Gesù ci viene ulteriormente rivelato, dopo la manifestazione del Battesimo al Giordano, come l’unico figlio di Dio che sempre è in ascolto della volontà di Dio Padre, entrambi avvolti nella comunione del Santo Spirito. 

Egli ci trasmette umanamente, cioè con linguaggio e gesti umani, tutto l’amore e la misericordia del Padre. A lui faremo bene a rivolgere costantemente l’attenzione delle nostre coscienze perché la gloria divina che egli ha abbandonato per venire a noi, possa essere anche la nostra definitiva eredità di figli adottivi.

venerdì 8 marzo 2019

Commento al Vangelo della I Domenica di Quaresima, 10 marzo 2019



 Il percorso della figliolanza



TESTO (Lc 4,1-13)

In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”».
Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». 
Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.



COMMENTO

Quante e quali devono essere state le sollecitazioni del diavolo nei confronti di Gesù nel deserto! Noi conosciamo solo quelle … “quando furono terminati [i quaranta giorni]” e che probabilmente Gesù stesso ha raccontato ai suoi discepoli, altrimenti San Luca non avrebbe potuto riferircele.

L’idolatria del consumo, del potere, della religione usa e getta. Sono tre forme di cosificazione del rapporto figlio-Padre. Gesù è spinto infatti nel deserto dallo Spirito Santo, da Colui che lo lega connaturalmente a Dio Padre, e questo dettaglio ci viene ripetuto ben due volte all’inizio del racconto. Il legame d’amore col Padre lo conduce, lo guida a dire un “No” esplicito a tutte le forme di auto-conservazione, di auto-salvezza, che sono insite nella natura umana dopo la ferita dal peccato.

All’inizio della sua missione, appena dopo l’investitura dall’Alto nel fiume Giordano, Gesù si dispone ad assumere gli atteggiamenti di un vero Figlio, di colui che si abbandona sempre e comunque alla volontà di Dio Padre, e che non si serve di questa relazione per un uso strumentale e personale, benché impellente, come quello di soddisfare l’istinto della fame. Il pane, il cibo, sono necessari, ma l’uomo ha bisogno anche di altro: ha bisogno di ritrovare la via del Padre, del tornare a sentirsi figlio di Dio! .

giovedì 28 febbraio 2019

Commento al Vangelo di Domenica 3 marzo 2019, VIII del TO, anno C

      


Un Cuore Diverso Per Uno Sguardo Diverso            


TESTO (Lc 6,39-45)            

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: 
«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro. 
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.
Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda»


COMMENTO

Chi è l’uomo buono che produce frutti buoni? Chi è l’uomo buono che ha nel cuore un tesoro di cose buone? Secondo quello che dice lo stesso Gesù al giovane ricco: “Dio solo è buono!” Dunque buono in senso proprio è solo Dio, Padre-Figlio-Spirito Santo.
Allora ogni uomo può essere buono a condizione che accolga nel cuore lo spirito di Dio, cioè la presenza di Gesù risorto e vivo. Il tesoro di cose buone da custodire è esattamente la sua Parola, il suo esempio, la sua Grazia sacramentale, il suo spirito di amore.

Se la parola e la Grazia del Signore Gesù sono accolte nella vita non ci sarà spazio per il giudizio, per la condanna del fratello; il mio prossimo non è più un competitore, un nemico, qualcuno di cui sospettare. Se invece mi pongo nell’atteggiamento del giudizio, anche per condannare la minima pagliuzza nella vita del fratello, per questo stesso fatto il mio sguardo si oscura, diventa miope o addirittura cieco. Non si tratta in definitiva di valutazione proporzionale del mio difetto in rapporto a quello dell’altro, e capire se io o l’altro nell’occhio ha una pagliuzza o una trave.

Potrebbe essere che effettivamente la persona che mi passa accanto compia azione peggiori delle mie, ma nel momento stesso in cui io mi metto nell’atteggiamento del giudizio, mi metto una trave nello sguardo, divento cieco, e un cieco non può guidare un altro cieco. “Non cadranno tutti e due in un fosso?” direbbe Gesù. 

Viviamo con lo spirito del maestro Gesù, operiamo secondo l’esempio del maestro Gesù! Non possiamo di certo essere noi più del maestro, ma possiamo riempire il cuore dei suoi stessi atteggiamenti di misericordia: per essere severi sì contro il male, ma sempre misericordiosi e comprensivi verso chi ha sbagliato, per aiutare il fratello a rialzarsi e non cadere tutti e due nel fosso.

venerdì 22 febbraio 2019

Commento al Vangelo di Domenica 24 febbraio 2019, VII del Tempo Ordinario




Tutto concorre al bene. 


TESTO (Lc 6,27-38)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 
«A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.
E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.
Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.
Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».


COMMENTO

L’unica spiegazione possibile a parole così chiare e dirette può essere solo la vita di chi le ha pronunciate: Gesù di Nazaret.

I suoi esempi, e solo essi, possono darci la concretezza dei suoi insegnamenti. Quando fu schiaffeggiato dalla guardia del sommo sacerdote, Gesù rispose prontamente: «Se ho parlato male, mostra dov'è il male; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». (Gv 18,23) Capiamo che il porgere l’altra guancia non significa, e non può significare nell’intenzione di Gesù, il rinunciare alla giustizia, ma piuttosto il non ricorrere ad altri mezzi per difenderla rispetto al dialogo, e quindi alla denuncia esplicita. Questo solo po’ interrompere la spirale della violenza e della rivalsa che inevitabilmente inaspriscono la controversia. Chi cede alla violenza e cerca vendetta è stato sconfitto dal male, perché risponde con la stessa logica e dimostra di esserne stato contagiato.

Gesù non è un pacifista, un figlio dei fiori; Gesù è un uomo di misericordia, è il figlio di Dio. 
Lui ci insegna la via di Dio Padre e con la sua presenza spirituale inaugurata col Battesimo, rende possibile vivere i suoi stessi atteggiamenti di accoglienza e di tenerezza umana. 
Se Gesù dice che il Padre non rifiuterà mai di dare cose buone a coloro che giorno e notte si rivolgono a lui per chiedere, così anche noi siamo chiamati e di fatto, per Grazia divina ricevuta, siamo resi capaci a dare cose buone a coloro che chiedono.

Lo slogan dell’anno della Misericordia di qualche anno fa era proprio “Misericordiosi come il Padre”. Lo possiamo dire con certezza di Gesù, ma lo possiamo e dobbiamo sperare per ciascuno di noi.

Non sempre Dio Padre, lo constatiamo quotidianamente, ci elargisce ciò che esattamente gli chiediamo, soprattutto nei tempi e nei modi che noi gli chiediamo (perché eventualmente ci dona sempre cose migliori); così anche noi saremo chiamati a esercitare nel nostro piccolo un amorevole discernimento fraterno, ma sempre dovremo saper dare qualcosa di buono a chi ci chiede; almeno il nostro tempo, il nostro ascolto, il nostro “esserci”.

giovedì 14 febbraio 2019

Commento al Vangelo di Domenica 17 febbraio 2019, VI del Tempo Ordinario, anno C




Un invito da non perdere



TESTO (Lc 6,17.20-26)        
                     
In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne. 
Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.

Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».


COMMENTO

È il discorso della montagna sul terreno pianeggiante. L’evangelista Luca vede in quel luogo una distesa pianeggiante accessibile al mondo intero, in cui ciascuno può trovare accesso alla beatitudine, alla pace che è la vita con Dio. 

Infatti chi pronuncia questo discorso è Gesù di Nazaret, e questo non è affatto indifferente. Lui proclama beati i poveri, gli affamati, coloro che piangono perché Lui stesso, vero Dio, si è fatto uomo per condividere le nostre lacrime, per fare l’esperienza della povertà e della sofferenza umana, per poi trasformarla in gioia eterna.

Il suo allora non è un discorso da campagna elettorale, o un piano di azione sociale, è anzitutto la descrizione del suo cuore, della sua scelta di misericordia, del suo desiderio di essere Dio-con-noi, Dio-per-noi. I guai che derivano dalla scelta della ricchezza, del successo e delle consolazioni di questo mondo sono il frutto estremo della chiusura del cuore alla sua persona, a Lui che racchiude in sé ogni dolcezza, ogni benedizione e consolazione del cuore.
Cercare consolazione in modo assoluto nei piaceri mondani chiude alle consolazioni di Dio, ecco perché poi si piangerà.
Pensare che i beni di questo mondo riempiano il cuore rende ciechi rispetto alla sofferenza dei poveri e rispetto al vero Bene che è la comunione con il Signore; per questo poi ci si ritroverà più poveri che mai.

Nell’udienza di mercoledì scorso Papa Francesco ci ha ricordato che nella preghiera del Padre Nostro non si pronuncia mai la parola “Io” perché tutto è relazione col Padre e con i fratelli, e tutto ciò che si chiede lo si chiede per “noi”. La beatitudine di Gesù è la sua stessa gioia eterna di essere nella comunione col Padre e lo Spirito Santo; è la sua gioia umana di donarsi a noi uomini, a partire dai più piccoli del mondo. Guai a noi se perdiamo questo invito alla gioia che il Signore Gesù ci rivolge !

sabato 9 febbraio 2019

Commento al Vangelo di Domenica 10 febbraio 2019, V del TO anno C




Il falegname che insegna la pesca al pescatore


TESTO  (Lc 5,1-11)

In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare. 
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini». 
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.


COMMENTO

Non c’è nulla da dire: le parole di Gesù dovevano essere molto affascinanti e coinvolgenti, se è vero come ci narra San Luca, che dalla sua parola (quella di un umile falegname di periferia) un pescatore di mestiere, come Simon Pietro, si lascia consigliare sul modo di pescare. Un falegname, e in più proveniente da una borgata di periferia, che insegna a gettare le reti ad un pescatore di Cafarnao. Cose fuori dal mondo, diremmo. 

In effetti di cose “fuori” dal mondo si tratta, perché la sapienza delle parole di Gesù, di quella sua predicazione estemporanea alla folla in riva al lago è sì umana, ma rivela un calore che viene dall’Alto, dal profondo, dalle viscere del cuore di Dio, di un cuore di Padre che rivela all’uomo i tesori della sua misericordia. 

Gesù chiede a Simone Pietro di scostarsi con la sua barca dalla riva e di prendere il largo, di inoltrarsi dove il lago è più profondo perché l’esperienza della pesca sovrabbondante rimanga come una memoria precisa e puntuale di cosa vuol dire sapersi “discostare” dalle logiche umane andando e cercando le profondità di senso di ciò che facciamo normalmente, magari anche con perizia tecnica. 
Il Servo di Dio Don Luigi Giussani spesso, quando incontrava le persone, specie se non credenti, le invitava più che a iniziare pregare, ad andare al fondo di quello che stavano vivendo, a capire il perché, la motivazione, il fine del loro agire quotidiano.

Prendere il largo non per fuggire il reale e la storia che stiamo vivendo, ma per fare esperienza della fecondità dell’incontro con la tenerezza di Dio. Chi fa esperienza della misericordia divina, fidandosi e affidandosi alla parola del Signore, trasmette a sua volta tenerezza e misericordia, e la sua vita diventa ricca di relazioni e di umanità.