Amar come Gesù amò
TESTO (Mc 12,28-34)
In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.
COMMENTO
“Amor, ch'a nullo amato amar perdona” (Divina Commedia, Inferno, V,103) diceva Dante Alighieri nella sua Divina Commedia tramite uno dei suoi più noti personaggi. L’amore non accetta di non essere ricambiato, l’amore spinge quasi inevitabilmente la persona oggetto di questo sentimento a ricambiarlo a sua volta.
L’evidenza mostra che si può ben rimanere freddi e insensibili ad un intenso affetto, per quanto grande esso possa essere.
Nella Bibbia tuttavia cogliamo il fondamento del culto a Dio, dell’onore e del rispetto a Lui dovuto, proprio nel suo essere un Dio misericordioso e buono, “Buono e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore” (salmo 102,8).
E all’inizio delle 10 parole, cioè dei comandamenti che il Signore trasmette a Mosè, il Signore dice: “Io sono il Signore tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra di Egitto, dalla condizione servile” (Es 20,2).
Nell’invito ad amare con tutto noi stessi il Dio della vita c’è necessariamente un “prima”, un antefatto, un atto di amore infinito ineguagliabile che dovrebbe suscitare stupore, meraviglia, e il desiderio di una risposta generosa e totale.
Lo scriba che interroga Gesù intuisce nella risposta di Gesù la radice più sensata e logica di ogni comandamento, il riconoscere che egli è semplicemente Signore della nostra vita, proprio come diceva San Francesco d’Assisi: “Mio Dio mio tutto!”.
Proprio San Francesco amava ripetere una preghiera non scritta da lui, ma a lui tanto cara: Rapisca, ti prego, o Signore, l'ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo, perché io muoia per amore dell'amor tuo,
come tu ti sei degnato morire per amore dell'amore mio.
Chi coglie questa essenzialità, la superiorità cioè di una risposta così totale rispetto a qualsiasi altro sacrificio non è lontano dal Regno di Dio, sta avvicinandosi. Ciò che resta da compiere è entrare nel mistero dell’amore crocifisso di Cristo Gesù, perché in quel gesto di amore c’è la pienezza dell’Amore di Dio, dell’amore che è Dio. Lì finalmente l’amore si fa misericordia, accoglienza, tenerezza, e regna indiscusso su ogni forma di odio e di cattiveria umana.
CREDERE PER VEDERE
TESTO (Mc 10,46-52)
In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
COMMENTO
Ormai abbiamo capito che i miracoli di Gesù, specialmente le guarigioni, hanno sempre un significato fortemente simbolico, oltre l’indubbio beneficio per chi lo riceve.
La cecità è una disabilità altamente invalidante ma c’è una cecità ancor peggiore sulla quale il Vangelo ci vuole far riflettere: la cecità del cuore!
Notiamo che la prima espressione sulla bocca di questo cieco mendicante, prostrato a terra è: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!” Egli domanda un cuore pio e misericordioso nei suoi confronti da parte di colui che egli riconosce “Figlio di Davide”, e quindi forse già come Messia.
I suoi occhi sono incapaci di vedere ma Gesù donandogli la vista degli occhi gli dona anche la vista del cuore perché, ci dice il racconto, dopo aver riacquistato la vista Bartimeo prese a seguirlo per la strada. Quella strada a bordo della quale era passivamente seduto, diventa ora il luogo in cui segue il suo maestro verso Gerusalemme, la città santa, il luogo in cui Gesù realizzerà e rivelerà al mondo la sua salvezza.
La salvezza passa per la strettoia della fede. Gerico si trovava in una strettoia, passaggio obbligato per tutti i pellegrini in cammino verso Gerusalemme. La fede in Cristo salvatore è passaggio obbligato, strettoia necessaria per tutti quelli che cercano la compassione di Dio, la salvezza dal male, la Gerusalemme non terrena ma celeste, il paradiso.
In questa sovrapposizione di piani, storico da una parte e simbolico-spirituale dall’altra, l’evangelista ci annuncia anche che per capire gli avvenimenti di Gerusalemme, il mistero della passione-morte e risurrezione di Cristo, occorre saper vedere con gli occhi della fede ciò che umanamente sarebbe solo scandalo.
L’ultima guarigione compiuta da Gesù prima di arrivare a Gerusalemme è propria quella di ridonare la vista. Anche noi possiamo leggere correttamente la storia della sofferenza-morte di Cristo e di ogni uomo, oltreché quella personale, solo partendo da uno sguardo guarito dalla fede e dalla misericordia di Cristo. Ecco che così può cominciare un cammino di salita verso le altezze dei misteri di Dio.
L’AMORE PERFETTO
TESTO (Mc 10,35-45)
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».
Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
COMMENTO
Giacomo e Giovanni rappresentano bene la difficoltà penosa dei discepoli a comprendere i caratteri della missione del maestro Gesù di Nazaret. Nonostante che questi per la terza volta avesse loro spiegato il suo destino di sofferenza, Giacomo e Giovanni chiedono un posto alla destra e alla sinistra nella sua gloria e si mettono piuttosto nella scia di Pietro che aveva proclamato di fronte al primo annuncio della passione e morte di Gesù: “questo non ti accadrà mai”.
Il vero discepolo del Cristo dovrà seguire invece lo stesso itinerario del maestro, bere il suo calice, bere e cioè assumere il carico di sofferenze di un’umanità dispersa e smarrita; battezzarsi, letteralmente immergersi, nel dolore del mondo, e solo allora condividere la gloria eterna dell’amore comunionale del Regno di Dio.
Giacomo e Giovanni sembrano essere incapaci di comprendere il passaggio della croce, e con essi ci sono anche gli altri che si sdegnano della loro richiesta, ma solo perché temono di essere sorpassati nelle loro medesime pretese.
Ciò che più convince della pochezza della domanda dei due fratelli è il tentativo di monopolizzare la relazione con Gesù. Avessero chiesto semplicemente di partecipare alla gloria del Signore, si poteva ancora pensare alla buona fede della richiesta, ma il fatto che chiedano di sedere uno alla destra e uno alla sinistra dimostra il desiderio di monopolio, la ricerca dell’esclusiva, il tentativo di rendere la relazione con il maestro escludente rispetto agli altri apostoli. Ecco quindi l’intenzionalità esattamente contraria a quella di Gesù che è “essere per gli altri”, donarsi e svuotarsi delle proprie prerogative a beneficio dei fratelli, perché “il figlio dell’uomo (Gesù) è venuto per servire, cioè dare la vita, e non per essere servito, come fanno i dominatori di questo mondo che in una logica mondana, cercano il proprio vantaggio.
Gli amici di Cristo sono chiamati a seguirlo sulla sua stessa via, quella del dono di sé, non perché debbano essi stessi guadagnarsi la salvezza che deriva dalla sola opera di Cristo, me per essere capaci di collocarsi nel suo cuore, nei suoi stessi sentimenti, e quindi per poter ricevere il dono, di per sé immeritato. L’apostolo Giovanni dopo la morte e risurrezione di Gesù, all’approssimarsi della sua propria morte, illuminato dall’esperienza della Pentecoste capirà finalmente tutto questo. Per questo scriverà nella sua prima lettera: “Chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato” (1 Gv 2,3 ).
Inseguire La Vera Bontà
TESTO (Mc 10,17-30)
In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà».
COMMENTO
Cambiando l’ordine delle parole potremmo dire anche che tutto è possibile alla bontà di Dio. Il regno di Dio che l’uomo da solo non può raggiungere, la capacità cioè di far regnare nella propria vita la vera ricchezza dell’amore di Dio, diviene possibile per la benevolenza gratuita di Dio manifestata in Gesù di Nazaret.
L’elemento che distingue è quello personale: accettare o meno di entrare in relazione con la presenza di Cristo. Per il tale di cui si narra nel vangelo si sarebbe trattato di lasciare dei beni materiali e forse anche delle sicurezze psicologiche per poter stabilire una vera relazione con l’unico volto umano della bontà di Dio, l’uomo Cristo Gesù; Lui e nessun altro ci può salvare, perché lui, come dice San Paolo, “è l’unico mediatore fra Dio e gli uomini” (cf. 1 Tim 2,5).
Dal momento in cui Dio si è fatto uomo la legge termina la sua funzione di accompagnamento, di preparazione all’incontro fondamentale con Colui che ristabilisce l’uomo nel vero paradiso terrestre, quello della comunione con Dio. Quando in tutte le difficoltà possibili di questo mondo si riscopre il gusto del sentirsi figli di un Padre divinamente misericordioso si trova il centuplo di tutto!
L’origine di ogni problema esistenziale dell’uomo è sempre stato l’autosufficienza, il pensare di poter essere qualcuno a prescindere dagli altri e anche da Dio; e anche in ambito religioso la presunzione di potersi salvare per propri meriti, per la propria capacità di essere buono.
Gesù chiarisce subito infatti alla domanda del viandante che Dio solo è buono. La bontà non può derivare quindi da una sterile osservanza della legge, ma può essere solo frutto di un incontro con Colui che è fonte e origine della bontà.
Per noi che ascoltiamo questo discorso a distanza di tempo, lasciare tutto e seguire Gesù significa lasciare in secondo piano ogni altra cosa rispetto alla relazione con il Signore, con il Cristo risorto e vivo, per cercare costantemente un rapporto personale, vero e sincero con la sua presenza, nella Parola di Dio ascoltata, nei sacramenti, nei fratelli, soprattutto i più sofferenti e crocifissi.
Qui ritroveremmo il paradiso perduto, il centuplo in questa vita e la vita eterna nel futuro; infatti è la relazione con la paternità di Dio che ci siamo persi per strada a ridare il senso della nostra esistenza, e questa paternità proprio Gesù è venuto a ristabilirla nelle nostre vite con la presenza del suo spirito di figlio nei nostri cuori.
Quindi nulla è impossibile a Dio, neppure farci diventare poveri, ammesso che si riconosca la ricchezza unica e insostituibile della relazione con Dio in Cristo vivo, il cui corpo storico è la chiesa, comunione dei battezzati.
Ad Immagine dell’amore Tri-Unitario che è Dio
TESTO (Mc 10,2-16)
In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla».
Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».
A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.
COMMENTO
Quando ci chiediamo perché per un cristiano il matrimonio sia un Sacramento, un segno sacro, un segno della Grazia di Dio, ecco che questo brano ci offre una buona risposta. Certo occorrerebbe riferirsi anche a quel primo segno raccontato dall’evangelista Giovanni che Gesù compie a Cana, proprio durante una festa di nozze; e poi la descrizione del matrimonio come di un segno grande in riferimento al rapporto Cristo- Chiesa proposta da San Paolo.
Cosa dice in realtà Gesù in questa risposta ai farisei? In realtà non inventa nulla, ma ribadisce il principio, l’inizio della creazione (la Genesi appunto), il disegno originario di Dio di fare dell’uomo e della donna una coppia emblematica, intensamente simbolica di cosa sia la comunione divina, prima che il peccato rovinasse tale progetto e “obbligasse” Mosé a mettere qualche toppa.
Infatti non solo l’uomo è stato creato maschio e femmina da Dio ma ad un certo punto della sua vita, l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. La comunione dell’uomo e della donna è un fatto di libertà, di risposta ad una chiamata che è già scritta nella loro carne, nella loro umanità sessualmente caratterizzata. L’unione dei due non è qualcosa di automatico e predeterminato ma il frutto di un cammino.
Ci sarebbe da domandarsi perché non siamo stati creati già uniti fin dall’inizio, visto che la coppia nasce secondo la Genesi da una sorta di sdoppiamento dell’uno da una costola dell’altro. Perché sdoppiare l’uomo e poi chiedergli di tornare ad essere una carne sola?
Perché la comunione vera è questione di libertà, di libera adesione ad un sogno di amore, eternamente vissuto da Dio nel suo essere tri-unitario, e condiviso a noi suoi figli che proprio nell’essere creati a sua immagine, siamo invitati a imitare liberamente la scintilla e l’ebbrezza dell’amore divino, eternamente libero.
Davvero l’unione uomo-donna, l’unità dei due in una sola carne è Mistero grande, come dice San Paolo in Efesini 5; grande perché rende visibile come nessuna altra cosa al mondo l’intensità e l’energia di cosa sia l’Amore comunionale che è Dio, Padre- Figlio e Spirito Santo.