La route de l’Évangile: un’esperienza di itineranza e povertà tra fratelli poveri, Togo 16 - 31 agosto 2010
Vivere come fratelli poveri tra i poveri, cercare di indossare la camicia del povero anziché donare la camicia al povero, vivere in presa diretta per 15 giorni l’itineranza dei discepoli di Gesù o se si preferisce dei compagni di San Francesco . Tutto questo potrebbe essere una sintesi , seppur incompleta, della “route de l’Évangile”: marcia-pellegrinaggio destinata a tutti i giovani tra i 18 e i 30 anni che dal 1994 si svolge ormai tutti gli anni nell’ultima quindicina di agosto in Togo o in Bénin, per iniziativa dei frati minori di questa stessa regione.
Ogni giorno un cammino di 14-15 km guidato e intervallato da catechesi e da momenti di preghiera-silenzio e poi all’arrivo la condivisione, la messa in comune di ciò che si è capito, sentito, sperimentato, vissuto. Giorno dopo giorno e km dopo km le barriere tra i ragazzi si abbassano, anche i più introversi non possono fare a meno di condividere qualcosa della loro vita con i loro compagni di viaggio, o con i frati e le suore che accompagnano il pellegrinaggio, anch’essi marciando.
Si cerca di vivere una forte esperienza di fraternità intorno al Vangelo e forse il fatto di spostarsi ogni giorno è proprio lo strumento per centrare l’attenzione su ciò che invece si porta sempre con sé: la presenza del Signore e i fratelli. Tanti villaggi ci hanno accolto e domandato il senso di quello che stavamo facendo e tante comunità parrocchiali ci hanno aperto le porte delle loro chiese per celebrare insieme la Cena del Signore; ovunque abbiamo trovato un pavimento per stendere le nostre stuoie in attesa dell’alba del giorno successivo, per poi ripartire.
Anche in Africa i giovani sono ormai vittime delle tante cose che accorciano le distanze del mondo ma che a volte allontanano da chi passa accanto, e per questo a loro è stato chiesto di lasciare al convento da dove siamo partiti telefonini, lettori MP3 o altri lettori digitali.
Non ci è mancato nulla. Tutto quello che era assolutamente necessario lo si portava dentro il proprio zaino, e così ti rendevi conto che il tuo “ di più “ è qualcosa che apparentemente non pesa ma che accorcia ogni passo, che tante piccole cose inutili fanno il peso di un sasso , di un fardello di cui ti sei caricato per le tue esigenze di comodità. Anche questo era segno di come nella vita niente è neutro: ogni cosa che viviamo o serve il Bene oppure ce ne allontana, già solo rallentandocene il raggiungimento, e quindi ci avvicina al male.
Nel mezzo di tutto ciò due pause importanti: la prima una giornata di evangelizzazione “porta a porta”. A gruppi di due o tre siamo andati a cercare la gente nelle loro case, nelle loro capanne, nelle loro botteghe, cercando di spiegare cosa stavamo facendo, augurando a tutti la pace del Signore e chiedendo qualcosa da mangiare, visto che quel giorno il pranzo dovevamo andarlo a elemosinare.
Mi sono domandato che senso avesse che io occidentale ( sebbene frate ) andassi a chiedere da mangiare ad altri che hanno senz’altro meno di me. Eppure ho ri-compreso che anche il Figlio di Dio era ricco ma si è fatto povero per venire povero tra i poveri per farci ricchi di Lui, dissetarci con la sua Grazia. Anche Gesù al pozzo di Giacobbe chiese da bere ma in realtà voleva Lui stesso dare un’acqua nuova per la vita eterna.
E ti stupisci della verità delle parole di Gesù ai discepoli: “…non prendete niente per il viaggio “ ( cfr. Lc 10 ).
Anche in questo caso non ci è mancato niente, le porte si sono aperte, le mense si sono imbandite e i cuori si sono dischiusi.
Commovente la testimonianza di un giovane riguardo questa giornata: “ fino a adesso raccontavo le esperienze che altri avevano fatto ; da oggi in poi posso raccontare un’esperienza del Signore che io in prima persona ho vissuto”.
E mi chiedo: “Chissà se tutte le conquiste del mondo occidentale, le nostre sicurezze in termini di sanità, previdenza, pubblica sicurezza non ci hanno disabituato a ancorare la nostra sicurezza nel Signore, Dio del Cielo e della terra?”
Una seconda pausa: la giornata di deserto.
La notte a turno abbiamo adorato Gesù Eucaristia e il giorno successivo silenzio totale: per pregare, per ripensare, per “guardare, guardarsi e lasciarsi guardare” , per riposare .. e per ripartire.
No , il silenzio non è scontato nemmeno per i giovani africani. Il silenzio è faticoso anche per loro.
La gioia così facilmente esternata nei momenti di festa e di celebrazione sia civile che religiosa, fatica a diventare esperienza intima e profonda. L’angoscia, le tante paure, il dolore sono fardello comune a tutti gli uomini di questo mondo.
Anche un’esperienza come questa può insegnare molto ai giovani: che occorre fare il sacrificio di lasciare fuori tante cosa pesanti per camminare verso l’essenziale. Mai da soli ma con i fratelli.
Fra Damiano Angelucci